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12 Febbraio 2025 - 11:18
Donald Trump
Hamas non riallestirà la meschina messinscena che accompagna gli avari rilasci di ostaggi a fronte di ricche scarcerazioni di terroristi? Donald Trump potrebbe mantenere la promessa fatta e sabato, allo scadere dei rintocchi di mezzogiorno, assisteremmo allo “scatenarsi dell’inferno a Gaza”. Sopporterebbe, il presidente statunitense, l’accusa degli elettori che l’hanno riportato trionfalmente alla Casa Bianca d’essere il solito politico che rinnega la parola data? È sulla differenza tra lui e Joe Biden – e Barack Obama, George Bush junior, Bill Clinton – che si basa il patto, da statista, con il “suo” popolo. Il dubbio però resta. Benjamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa hanno convocato i vertici militari e messo in stato d’allerta le forze armate. Non contano le proteste dei familiari degli ostaggi rimasti, chissà quanti ancora in vita: l’obiettivo è proteggere la nazione. E possibilmente ampliarne il territorio, con il supporto di Washington, perché è troppo ristretto e Israele necessita di ‘fasce di sicurezza’.
A una Cisgiordania presidiata dagli insediamenti con stella di David sulla bandiera, sarebbe opportuno aggiungere Gaza. Anche in comodato d’uso. Una Costa Azzurra mediorientale ‘made in Usa’ offrirebbe maggiore tranquillità se conservasse una trascurabile o nessuna presenza palestinese. Ecco l’idea nuova di Trump: meglio di un temporaneo allontanamento per lavori in corso sarebbe, quindi, preferibile ricongiungere i palestinesi di Gaza con i fratelli di Giordania. Al re Abdallah, incontrato nel pomeriggio, la scelta tra l’accoglimento oppure la fine degli aiuti per miliardi di dollari, da tempo puntualmente corrisposti per mantenerlo su un trono parecchio instabile e talvolta scricchiolante. Discorso simile al presidente egiziano Abdel al Sisi. La prospettiva: cittadine nuove, appartamenti con un minimo di comfort, un popolo non di rifugiati ma di emigrati… ne sono pieni i Paesi del mondo. E Hamas senza più popolo.
Nell’accavallarsi delle decisioni e dei progetti da realizzare nel futuro prossimo non c’è soltanto la rinascita di Gaza sotto bandiera a stelle e strisce. C’è la pace da ristabilire immediatamente in Ucraina, dopo milioni di morti per una guerra che, lui presidente, “non sarebbe mai scoppiata”. Un Paese da ricostruire, che l’America ha armato e riedificherà dalle fondamenta ma che non farà più nulla gratis. Vuole essere ripagata: un po’ di conti e parcella pronta, la prima: 500 miliardi di dollari. Pagamento in natura: grano (già nelle mani delle multinazionali Usa) e miniere di ‘terre rare’ da sfruttare, perché la sfida del secolo è con la Cina che in giro per il mondo ne ha fatta incetta. Trump punta a frenare in una nuova strategia di “containment” alla George Kennan la Cina, che ha preso il posto dell’Unione Sovietica come rivale planetario. Punta a “riportare grande l’America” sia reindustrializzandola; sia rafforzando le rotte marittime dell’impero bi-oceanico (anche re-impadronendosi di Panama); sia recuperando o rafforzando alcune basi terrestri (Israele si conferma il bastione occidentale in M. O.); sia affrontando le sfide dello spazio e dell’Intelligenza artificiale (IA), quindi ampliando il raggio imperiale verso l’Artico il cui ventre è ricco dell’ ”amor bramato”: minerali e sostanze il cui possesso deciderà il destino futuro. A differenza dei predecessori, Trump non tira subito pugni ma li tiene di riserva.
È questa la novità della sua strategia. Una novità… ripescata dal passato. Le richieste di acquisto della Groenlandia o del Canada hanno suscitato indignazione e persino qualche reazione divertita. Tuttavia, basta dare appena un’occhiata alla storia degli Stati Uniti per rendersi conto che gran parte del territorio è stato “acquistato”. Certo, i venditori francesi e spagnoli stimarono la vendita di regioni immense e indifendibili come il male minore, almeno ci ricavavano un po’ di quattrini. O ritenute quasi inutili come l’Alaska per i russi. Trump, insomma, non è certo il primo presidente ‘commerciante’, né probabilmente sarà l’ultimo.
Donald Trump vuol passare alla storia come un “pacificatore” e bisogna ammettere che le premesse ci sarebbero, essendo il primo capo di Stato Usa, da diversi decenni, a non aver scatenato guerre. E’ stato l’artefice degli Accordi di Abramo tra arabi e israeliani, motivo scatenante del massacro di Hamas volto a sabotarlo. Vuol porre fine all’”inutile massacro” in Ucraina, che neppure Vladimir Putin voleva, attraverso un ‘onorevole compromesso’ che salverebbe l’Ucraina culla dei ‘Rus e ridarebbe respiro alla Germania (alla vigilia di elezioni anticipate) e, quindi, all’Europa. A Volodymyr Zelensky gira la testa, frastornato. Da Bruxelles si levano lamenti e prese di posizioni come quelle di Kaja Kallas, ministro degli Esteri Ue, le cui eco si perdono lontano, nel nulla.
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