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Lettera al direttore

Studi classici sorpassati? Errore che pagheremo caro

La riforma scolastica proposta dall’attuale ministro della Pubblica istruzione Valditara prevede la reintroduzione, seppure facoltativa, del latino nelle scuole medie inferiori

Studi classici sorpassati? Errore che pagheremo caro

Il ministro Giuseppe Valditara

Gentile Direttore, giorni fa ho letto il solito luogo comune che da tempo infesta la nostra società: gli studi classici sono sorpassati, non servono più a niente. Per progredire e trovare un buon posto di lavoro bisogna affrontare studi tecnico-scientifici, che immettono immediatamente, dopo il diploma, nel circuito lavorativo: il che, poi, significa non dare troppa importanza agli studi universitari con relativa laurea, considerata, il classico “pezzo di carta”, come si diceva una volta da chi non riusciva a superare nemmeno l’esame facoltativo.

La riforma scolastica proposta dall’attuale ministro della Pubblica istruzione Valditara, e che andrà in funzione dal 2026/2027 prevede la reintroduzione, seppure facoltativa, del latino nelle scuole medie inferiori, lo studio più approfondito della nostra storia e cultura millenarie, l’esercizio con più frequenza della memoria, senza ricorrere al continuo ausilio del “telefonino” a portata di mano, pena l’atrofia del cervello, che già oggi non è più abituato ad allenamenti mnemonici o a fare ragionamenti compiuti.

Registro che la riforma portata avanti dal ministro si avvale della collaborazione di eruditi come Ernesto Galli della Loggia, opinionista del Corriere della Sera, professore ordinario dell’Istituto Italiano di Scienze Umane; il famoso latinista Andrea Balbo; il presidente Emerito dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini; il grande violinista e uomo di cultura Uto Ughi, ed ancora altri.

Eppure, anche contro questa iniziativa c’è un strenua opposizione preconcetta, che viene alimentata soprattutto da valutazioni politiche, mai culturali. La stessa segretaria del Pd, Elly Schlein, infatti, ha affermato che con questa riforma sembra di evocare le “bacchettate sulle mani“, ritornando all’”antico “, come se l’”antico” fosse nemico del nuovo e del progresso, senza nemmeno porsi il quesito se sia proprio lo studio “antico” ad aver gettato le basi per far progredire l’essere umano, sia nella formazione ed espansione dell’intelligenza, sia nella continua ricerca dell’Umanità stessa di migliorarsi con continue scoperte e invenzioni, non possibili se si fosse rimasti allo stato brado.

Non è certamente anacronistica, come si vorrebbe far credere da taluni, l’affermazione che studiare il passato è fondamentale per comprendere il presente e per progettare il futuro, così come studiare il latino risulta fondamentale per arrivare ad una comprensione seria della lingua italiana, e di buttare le fondamenta per capire anche una costruzione matematica, su cui si basa la grammatica latina.

Il problema vero della società dell’apparire e del non essere d’oggi è quello di pensare agli studi come propedeutici solo all’occupazione, trasferendo, così, tutto il sistema educativo agli obiettivi delle scuole tecniche e professionali, che hanno anch’esse un indubbio valore e necessità d’essere, mai trascurando, però, il basilare principio che la scuola debba essere essenzialmente un luogo di cultura, dedito alla formazione della persona, demandando la professionalizzazione a cicli di studi integrativi od anche successivi.

Il mondo ellenico prima, quello latino, dopo, hanno elaborato idee, concetti, valori della persona, della politica, della libertà, della democrazia; ed hanno anche inventato la scienza, la storia, la filosofia, la filologia, tutte qualità e patrimonio che sono alla base della civiltà occidentale e degli aspetti più significativi dello stile di vita acquisito nei secoli dai nostri popoli.

Il grave rischio che si corre, oggi, con l’abbandonare del tutto questi fondamentali principi è quello di ritenere la nostra civiltà come un “patrimonio” ormai acquisito, senza una sufficiente consapevolezza dell’origine di queste conquiste, ma anche della loro fragilità, se non coltivate. E il decadimento dell’Occidente, che ci viene ricordato ad ogni piè sospinto dallo “zar” Putin, con la complicità anche della massima autorità religiosa russa, il patriarca Kirill, il cui credo trae le fondamenta dalla stessa religione cristiana, troverà facile usbergo se le future generazioni si lasceranno trascinare dal facile edonismo, senza una solida corazza culturale.

Non mi meraviglia, perciò, più di tanto la citata critica della segretaria del Pd Elly Schlein verso la riforma Valditara. Il ritorno al passato, oggetto della sua critica, forse voleva comprendere anche il “passato fascista”, così da mettere una pietra tombale sulla riforma stessa. Con questa politica del “niente va bene a prescindere”, mi sembra di tornare allo studio sulla “Santa Inquisizione”, quando le sentenze erano già scritte, prima di emettere i tristemente famosi “Autodafè” dei tribunali Ecclesiastici spagnoli.

La prova evidente è di appena tre giorni fa, quando nella discussione in Parlamento sulla richiesta delle opposizioni di riferire in Aula sulla scarcerazione ed espulsione del libico Almasri, la maggior parte dei parlamentari intervenuti, Schlein in testa, leggeva il proprio intervento, scritto evidentemente prima di ascoltare i ministri Nordio e Piantedosi.

È deprimente constatare, invece, che un argomento così delicato, come quello della formazione dei giovani nelle scuole, debba essere, oggi, gettato nella marea del “convenzionale e della moda”, anche da chi non fa politica attiva, ma è affermato industriale, e, come tale, più credibile dai giovani in cerca di occupazione e realizzazione.

Rimango esterrefatto, infatti, quando leggo sul più importante quotidiano del Sud un’intervista del vice-presidente dell’Unione Industriale campana, il quale afferma essere unico il valore della formazione scolastica: la frequenza degli studi tecnici, a scapito di quelli classici.

“Basta con i vecchi licei; i vecchi licei sono superati”, è stato detto: se dovesse realizzarsi compiutamente questo assunto, avremmo, nella società del domani, un esercito di uomini e donne occupati nello spingere un bottone che mette in moto tutti i macchinari automatici sostitutivi non solo degli arti, ma anche della mente umana (con l’intelligenza artificiale ci siamo quasi), ma senza più un cervello proattivo con la costante sinapsi tra i neuroni, in uno con l’anima che fa suscitare emozioni e sentimenti, patrimoni dismessi e affidato al tempo in cui anche una poesia come “L’Infinito” trasformava il senso della caducità umana in un’emozione “Infinita”. 

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