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L'opinione
21 Febbraio 2025 - 09:13
La crisi della produzione industriale italiana purtroppo è troppo prolungata per non tradursi in perdita di livelli occupazionali. Gli effetti di quanto sta accadendo nelle imprese manifatturiere probabilmente si rifletteranno sul lavoro in misura più marcata nei prossimi mesi.
Perché siano meno penalizzanti in termini economici e sociali, occorre che si metta in atto una nuova strategia europea, si rimuovano vincoli e restrizioni normative e regolamentari che condizionano negativamente l’operatività delle imprese, si incentivino i processi di transizione digitale ed energetica.
In questo scenario l’Italia, a partire dal Governo, ha sicuramente delle carte da giocare, ma in un quadro di compatibilità che riduce i margini di azione, visto che,più ancora che i singoli Stati, oggi a fronteggiarsi sono le macroaree, con l’Europa che rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i colossi Cina e Usa.
Per quanto riguarda la promozione dell’occupazione produttiva, sia il Governo che gli Enti territoriali possono peraltro agire con più efficacia su altri fronti, come l’artigianato. Anche qui, tuttavia, la situazione non è delle migliori. In dieci anni in Italia gli artigiani sono diminuiti di oltre 400 mila unità. Il ridimensionamento più grave si è verificato nel Mezzogiorno, ma con l’eccezione della Campania e soprattutto di Napoli.
Nel capoluogo partenopeo la riduzione dell'8,1% è stata inferiore di più della metà a quella media nazionale del 17,4%. Il problema di fondo dell’artigianato italiano è la mancanza di ricambio. La formazione degli apprendisti richiede tempo e denaro.
L'artigianato, ciò malgrado, può essere più facilmente sostenuto dalle istituzioni, perché le risorse necessarie per rilanciarlo sarebbero contenute e, soprattutto, in buona parte se non in toto,recuperabili dalle pubbliche finanze. Da tempo ho lanciato la proposta di rimborsare i maestri di bottega per l’insegnamento e la formazione sul campo impartita agli apprendisti.
Governo o istituzioni territoriali dovrebbero quindi, oltre a pagare lo stipendio dell’apprendista, versare un contributo per le spese di tempo e denaro effettuate dagli artigiani per lo svolgimento di un’attività inevitabilmente, per il periodo di formazione, non redditizia per l’azienda.
Una svolta del genere non comporterebbe un impegno finanziario particolarmente rilevante per lo Stato. Non solo. Nel medio periodo, consolidando un settore di punta per il Made in Italy, assicurerebbe un incremento della base imponibile, con il conseguente recupero di quanto si è versato con l’agevolazione.
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