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CARTE DA VIAGGIO
25 Febbraio 2025 - 09:04
Brunori sas e Lucio Corsi
L’oscura frenesia di Sanremo corre ancora nelle vene degli italiani. Le radio zampillano quotidianamente, a qualsiasi ora, le canzoni del Festival, in tv molte trasmissioni dedicano spazi speciali a cantanti e protagonisti, mentre sulla stampa il tormentone sulla presenza italiana all’Eurovision si è snodato per settimane.
Sanremo, ancora Sanremo, fortissimamente Sanremo. L’espressione di un nuovo umanesimo fatto di innocenza, coraggio, business e mistero. Con la gente che non si stanca di ascoltare, di soppesare, di valutare e si interroga sui tanti perché di quella classifica un po' avulsa che spinge fuori dall’empireo cantanti acclamati e consacrati. Ma ci sono altre storie che meritano un ulteriore approfondimento critico perché, per una volta, l’Accademia della Crusca, il tempio della cultura italiana, ha inteso dare alle canzoni di Sanremo una serie di pagelle linguistiche sul modello dei testi rappresentati. Un lavoro puntuale affidato all’ accademico Lorenzo Coveri.
Ebbene, il giudizio della Crusca, inaspettatamente, ha trovato efficace riscontro nell’andamento della gara e nel gradimento del pubblico. I voti più alti erano stati espressi per Lucio Corsi e Brunori Sas, finiti secondo e terzo. Espressioni di un linguaggio contemporaneo, di un italiano comunemente parlato che si dissocia apertamente dalla retorica, dalla lingua un po' aulica degli ultimi Festival. Nello scenario canzonettistico del nostro Paese, sono i cantautori, magari i “rapper“ ad avere una maggiore attenzione verso le parola.
Per gli altri è la musica o l’interpretazione sul palcoscenico a rimanere cardini fondamentali. E poi, secondo la Crusca, soprattutto per gli interpreti maschili, il Festival si riduce ad un deserto delle passioni tristi. Moltissimi rivelano la propria fragilità. Su 29 canzoni, del resto, 24 parlavano di storie personali. Nessun accenno alle guerre che insanguinano il mondo, nessun riferimento ad altri temi di attualità. Liturgie laiche popolate da semplici sacerdoti, incapaci di uscire dal proprio, semplice santuario.
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