Tutte le novità
la riflessione
03 Marzo 2025 - 08:57
Il valoroso storico inglese George Macaulay Trevelyan, commentando il militarismo bismarckiano che portò alla disfatta della Francia al termine della breve guerra contro la Prussia tra il 1870 ed il 1871, con conseguente annessione manu militari dell’Alsazia e della Lorena e la formazione dell’impero tedesco, riconobbe in questa svolta verso una politica fondata sulla pura forza, l’affermarsi di ‘tempi nuovi nelle relazioni internazionali’: «il senso della buona volontà e della fratellanza umana – scrisse nella sua Storia dell’Inghilterra nel secolo XIX – era svanito in fumo. Sul continente inculcare l’odio nazionale sembrava diventata una delle funzioni dei governi e dell’educazione moderni. Le interpretazioni etiche e liberali della storia cominciarono a cedere di fronte alle dottrine della guerra di razza e della guerra di classe come segreti dell’evoluzione storica. La potenza cominciò a sostituire la giustizia come criterio degli intelletti».
Ed un altro valente storico, il francese Pierre Renouvin, socio dell’Accademia dei Lincei, osservò che l’annessione dell’Alsazia e della Lorena ad opera del Cancelliere prussiano, venne letta come «violazione non soltanto del diritto di nazionalità, ma anche dei princìpi della società europea». La politica dei puri rapporti di forza voluta da Bismarck, secondo non pochi storici, sarebbe poi stata all’origine delle crescenti e sempre meno contenibili tensioni che portarono, quando il Cancelliere era ormai da tempo lontano dal potere, allo scoppio nel 1914 della Grande Guerra, innescata dall’episodio dell’attentato omicida ai danni dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando. È ben vero che nella storia le cose mai si ripetono tal quali, giacché le condizioni mutano inarrestabilmente ed è impossibile si ripropongano situazioni identiche che inneschino processi conseguentemente eguali.
È però anche vero che determinate dialettiche nei rapporti di forza possono condurre ad esiti relativamente prevedibili sulla base di esperienze del passato in cui, non gli stessi avvenimenti, ma le analoghe dinamiche si presentino in relativa omogeneità di forme. Quando si sostituiscono, nella soluzione dei conflitti sempre presenti nelle relazioni internazionali, alla diplomazia ed alle stanze di compensazioni apprestate proprio all’occorrenza – attualmente, in teoria, la prima dovrebbe essere l’Onu, ma vien da sorridere amaramente – le soluzioni basate sulla forza delle armi, a mutare non è soltanto il quadrante internazionale direttamente coinvolto dal conflitto bellico, ma lo sono i criteri stessi sulla base dei quali le Nazioni atteggiano i reciproci rapporti. In Europa, e non alle sue soglie, si è registrato un fatto di straordinaria gravità, tenuto conto della faticosa costruzione occidentale delle proprie regole internazionali: uno tra i Paesi più influenti del mondo – che siede nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto e che quindi dovrebbe far da gendarme dell’ordine globale – ne ha aggredito un altro, per impadronirsene e stabilire così su di esso la propria egemonia.
Ed in effetti sembrerebbe esserci riuscito. Perché l’unico altro Paese che avrebbe potuto svolgere una funzione di seria mediazione, gli Stati Uniti d’America, ha deciso di sposare il criterio della forza delle armi, senza troppe mediazioni. Ed anzi ha minacciato con parole franche il Presidente ucraino, ammonendolo di star giocando con la terza guerra mondiale. Il che potrebbe essere vero e potrebbe anche giustificare i modi franchi del pragmatico Presidente americano Donald Trump: non possiamo saperlo, non possiamo sapere di cosa sia a parte, cosa s’è detto con il proprio omologo della Federazione Russa, forte a sua volta d’un arsenale nucleare da far tremare alla sola idea della sua esistenza. E di fatti, quanto ho sin qui scritto non intende affatto costituire critica dell’operato del Presidente Usa. Certo, i suoi modi lasciano stupefatti per quanto sono diretti ed incontenuti e per quanto disinvoltamente mandino per aria regole risalenti e credute sin oggi ben ferme nelle relazioni tra capi di Stato d’un certo livello. Ma si sa che nelle relazioni internazionali, quando si viene al redderationem non contano più forme e modi e conta la forza, quellabruta e militare, e la potenza economica in grado di sostenerla.
Però, quando questo accade, e direi che pochi dubbi vi siano che questa svolta avrebbe potuto essere evitata dal Putin – anche se molti errori hanno provocato la sua scellerata reazione – quando questo accade, mutano i paradigmi, come mutarono nella nostra stessa Europa dopo la guerra franco-prussiana e la disfatta di Sedan. Si cominciò da più parti a pensare che la guerra fosse inevitabile, che essa fosse il vero ed unico rimedio alle aspirazioni che ciascun Paese andava alimentando al suo interno, su basi etniche, culturali, nazionalistiche, bellicistiche appunto. Certo è un dato che al centro del dibattito politico, nazionale ed europeo, l’argomento militare sia divenuto centrale ed anche primario.
Il tema del potenziamento della spesa militare nei bilanci, quello della difesa comune, della creazione di un esercito europeo, la questione della Nato, della sua direzione e del sostegno sempre meno convinto da parte del Presidente Trump, le capacità di resistenza che i Paesi europei avrebbero ad eventuali operazioni d’invasione da parte della Federazione Russa, tutti argomenti, questi, che fino a qualche tempo fa erano praticamente assenti dall’agenda politica, almeno quella pubblica. Oggi sono divenuti centrali e riempiono cronache politiche, trasmissioni, dibattiti di esperti ed inesperti. È un segno, un segno nient’affatto trascurabile della piega che le cose stanno prendendo nel mondo ed anche qui da noi. La guerra in Ucraina ed i suoi ormai relativamente prevedibili esiti legittimanti – la narrazione sul Putin sta evidentemente registrando una torsione nel giudizio etico – avrà prevedibilmente conseguenze d’assai lunga durata.
Speriamo non s’avveri la predizione del Trump sulla Terza guerra mondiale, né si concretino gli esiti che 120 anni fa portarono alla Prima, ma è prevedibile ci si abituerà a vedere le cose in un’ottica molto diversa dall’attuale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo