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la riflessione

Testimonianze di donne che vanno oltre il loro genere

“Ma nonostante tutto ti aggrappi alla vita, perché solo adesso capisci quanto sia preziosa e incommensurabile”

Eleonora Giorgi: «La malattia avanza, sono ad un bivio»

Eleonora Giorgi

Era una combinazione perfetta: un 8 marzo non posticcio, il (breve) percorso della inesorabile malattia di una donna famosa, Eleonora Giorgi, reso pubblico prima, durante e dopo, non per tutti opportunamente, e la storia, privata, privatissima di GC (solo ora mi accorgo che ha le mie stesse iniziali), una persona come tante (per quanto specialissima, e non solo per affetto personale), con un male ormai comune, anche troppo, un cancro al seno. Ho letto della prima confesso un po' distrattamente nell'anno e mezzo in cui ha scritto e detto molto di sé stessa.

Ma la morte la sua per un maledetto carcinoma del pancreas si sa amplifica ogni dettaglio, anche il più insignificante, se poi a diffonderlo e a ingigantirlo sono figli, nuore, amici e conoscenti (anche loro più o meno dotati di fama o alla sua ricerca) allora siamo crudelmente destinati ad approfondite analisi televisive, prime pagine dei rotocalchi e (potete giurarci) prossime serie a puntate. Non a caso Wislawa Szymborska, che su tutto (o quasi) ci ha lasciate le parole più belle, pertinenti e rare, ha detto: “Scrivere della morte è facile, della vita è più difficile, la vita ha molti più particolari, tu sei per poco uno di quelli. Davvero la morte è un tema facile, la commozione è garantita”.

Eppure la malattia, questa malattia, è per sua natura silenzio, pausa, trasalimento e riflessione, come finisca finisca. E, scusate se lo dico, anche esempio. Così voglio parlarvi di entrambe la donna risonante e quella appartata con le parole che hanno usato, una per tutti, l'altra per me solo ( e che qui in piccola parte pubblico previa sua dolce concessione). Ultima intervista rilasciata da Eleonora Giorgi al Corriere della Sera pochi giorni prima di morire. Ve ne ripropongo un estratto, la parte centrale, sembra la rappresentazione esatta del meraviglioso cuore dell'attrice romana. Domanda: "Come si sente oggi?". Risposta: "Debole, ma la mia origine austroungarica mi fa essere soldato di me stessa: dopo l’ultima crisi di tre settimane fa il mio oncologo ha deciso di ricoverarmi. Mi sono ritrovata da sola in casa, di notte, a urlare, in preda ai dolori. Qui ho recuperato le forze". Domanda: "Ha scelto di condividere la sua malattia con il pubblico. Si è mai pentita?". Risposta: "Sono un personaggio da quando ho 20 anni, ho condiviso tutto. Non c’è nulla di male a dire che non riesco a fare più di dieci passi. Sto facendo la terapia del dolore, morfina e cortisone. Ho un’ampolla al collo e l’ossigeno: mi tengono in vita non perché ci sia futuro, ma perché tutto succeda il più tardi possibile. Ogni giorno è un regalo".

Domanda: "Cosa l’aiuta a stare bene?". Risposta: "L’amore dei miei figli: gli infermieri mi dicono non è scontato. Mi raccontano di quarantenni spaventati davanti ai genitori gravemente malati. Non lasciate solo chi soffre, soprattutto di domenica, il giorno più triste. A San Valentino mia nuora Clizia è venuta con il mio adorato nipotino Gabriele, di tre anni. Gli hanno detto che la nonna è in albergo: abbiamo liberato in aria dei palloni rossi". Domanda: "Il momento più difficile della giornata?". Risposta: "La notte, che passo sveglia. Nel silenzio mi sento su un’altalena, sospesa. Non sono spaventata: ho avuto molta più paura di vivere. La vita a volte è crudele. Trovarsi nella consapevolezza della morte ti fa analizzare le cose in modo diverso. Mentre dormo, adesso sogno. Prima non succedeva. E quando mi sveglio ripenso ai miei figli da piccoli, frutto dell’amore con due uomini che hanno scelto di diventare padri con me". GC ha compilato la sua storia, invece, nelle ore insonni del suo appartamento napoletano, su mia esplicita, per quanto garbata, richiesta. E lei non ci ha pensato neanche un po' e, senza nemmeno dirmelo, lo ha fatto, temo non senza dolore. Di tante parole (altrettanto) grondanti di vita, dignità e sofferenza vi partecipo solo quelle che hanno dato inizio al suo racconto e che lo hanno concluso. Tutte le stridule e disorientanti perifrasi della malattia che stanno invece nel fondo più oscuro della storia della mia amica lascio che appartengano solo a lei e ora grazie!" a me.

Inizio: "Non è facile descrivere quel momento: il momento in cui ricevi la diagnosi di carcinoma mammario. Penso che ognuna reagisca in modo diverso, ma il filo comune che ci lega tutte è che da quel giorno niente sarà più come prima: per alcune, le più fortunate, quel viaggio tra i vicoli stretti della paura dura “soltanto” 5-7-10 anni, ma poi arriva il responso della guarigione, il bollino blu del “fuori pericolo”; per altre quel momento dura tutta la vita che ti resta. Io rientro tra le seconde, con diagnosi di carcinoma mammario metastatico a due anni dalla scoperta della malattia".

Fine: "Ma nonostante tutto ti aggrappi alla vita, perché solo adesso capisci quanto sia preziosa e incommensurabile: pensi a tutti i libri che hai ancora da leggere, a tutti i concerti che hai ancora da sentire, a tutti i film che vuoi ancora vedere, alle persone che devi ancora scoprire…e per fare tutto questo ti serve solo tempo. E non importa del sonno perduto, del dolore da sopportare, delle prove che devi ancora affrontare…hai solo bisogno di tempo…e ti ritrovi di nuovo a sperare." A entrambe queste donne straordinarie valorose testimonianze che vanno ben oltre il loro genere dedico una parte del mio antico sogno di medico e di uomo e una fetta (non minore) del mio lavoro futuro.

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