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11 Marzo 2025 - 09:49
Un Paese è le storie che racconta, l’unicità del suo passato, gli scaffali delle nostre letture. Nell’archivio della memoria del Novecento, Napoli deve necessariamente riservare un posto d’onore a Nanni Loy, di cui si celebra quest’anno il centenario della nascita. Alla città lo lega l’intimo dialogo che attraversò il suo film forse più audace: “Le 4 giornate di Napoli“, pellicola del 1963 che, all’epoca, segnò i confini di un magma incandescente che arrivò fino ad Hollywood. Pochi ricordano che, nello stesso anno, fu candidato agli Oscar come miglior film straniero ma anche come migliore sceneggiatura originale. Un lavoro che suscitò polemiche, che aprì uno scontro diplomatico tra Italia e Germania, aprendo conflitti inattesi.
Sul tema, reperti unici ed inediti furono esposti, tra l’altro, lo scorso anno nella splendida mostra allestita a Materdei dal Museo di Napoli – Collezione Bonelli. In sintesi, la storia di una città che non aveva paura della morte fu costruita all’epoca da protagonisti straordinari. Il soggetto nacque negli anni ’60 da Vasco Pratolini che lo titolò “L’ ammuina“ ma non fu mai pubblicato. Per la drammatica sceneggiatura che arrivò in nomination a Los Angeles si utilizzarono scrittori come Carlo Bernari, Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa, oltre allo stesso Nanni Loy. Molte scene della pellicola ebbero attori anonimi, un autentico omaggio al popolo napoletano.
Il regista, del resto, privilegiò sempre, nella sua carriera, gli attori scelti dalla strada. Anche in quella occasione, realizzò un casting di oltre cento scugnizzi. Tra gli altri, come grande protagonista, Domenico Formato, alias Gennarino Capuozzo. Alla fine, ne prese una ventina ma gli altri continuarono a ronzargli attorno per tutto il periodo delle riprese. Era difficile girare a Napoli in quei giorni. La gente si accalcava dietro ogni scena, dietro ogni strada. Ma Loy fu instancabile. Lavorava quotidianamente anche dodici ore. Sul programma di lavorazione non voleva portare nemmeno un giorno di ritardo. Una puntualità, sosteneva, che apparteneva allo stile di un regista. Il film, sempre in quell’ anno, raccolse anche tre Nastri d’ Argento, un Globo d’oro, una Grolla d’ oro ed ebbe nomination in tutto il mondo.
Il grande Giuseppe Marotta scrisse in quei giorni: “Il primo connotato del mio popolo è una remota, strenua pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni e forse ne troveremo l’ origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi del mortifero vapore che erompevano improvvisi, in tutti i pericoli che qui insidiano la vita umana. Questa pazienza è l’oro di Napoli”.
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