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18 Marzo 2025 - 08:42
Donald Trump e Vladimir Putin
Oggi Donald Trump e Vladimir Putin voltano pagina sulla guerra in Ucraina. Siamo solo all’inizio di un nuovo foglio bianco. Ma di là dalle incognite che riserva il futuro, c’è almeno la certezza che si scriveranno, dopo tre anni, anche parole di pace. Una nuova pagina di storia che riserverà - come sempre - non poche delusioni ma che almeno promette la fine dell’attuale macelleria nella terra di confine tra l’Occidente euroatlantico e l’Occidente euroasiatico.
Promette, non ancora assicura. La telefonata tra i leader delle maggiori potenze nucleari del pianeta giunge esattamente a un anno di distanza delle elezioni presidenziali russe che videro la rielezione di Putin, con l’87% di consensi, di Putin. E arriva all’indomani della condanna del regime ucraino da parte della Cedu - la Corte europea dei diritti umani – per la strage di cinquanta russofoni, i quali, undici anni fa, il 2 maggio 2014, si erano rifugiati in un edificio dato alle fiamme da miliziani neonazisti del ‘Pravyj Sektor’ che impedirono loro di abbandonare.
Avvenne ad Odessa. E furono le fiamme che si propagarono e avvolsero l’intera Ucraina. La rivolta dell’Euromaidan con la fuga del presidente Viktor Yanukovich aveva raggiunto lo scopo. Come testimoniò Victoria Nuland due anni dopo in un’audizione al Congresso, erano stati infiltrati consiglieri americani in dodici ministeri del governo a Kiev, erano stati spesi 266 milioni di dollari per addestrare soldati ucraini e agenti della polizia distribuiti in diciotto città, erano state chiuse circa sessanta agenzie bancarie ucraine dal Tesoro Usa.
E aveva aggiunto che “se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro, il gasdotto Nord Stream 2 non andrà avanti”. Sarebbe stata interrotta la vena che portava sangue all’industria della Germania e non solo. Il resto è abbastanza noto. Putin e Trump avviano un negoziato che dovrebbe poi dipanarsi su altri temi e scenari, economici e strategici, Dall’Artico al Medio Oriente (e all’Africa sub-sahariana), dalle relazioni con la Cina al confronto nel Pacifico. Discussioni e patteggiamenti che già saranno interconnessi, e ostacolati o favoriti, con altre azioni e trattative.
Tanto per dirne qualcuna: il missile da mille chilometri che Zelensky assicura potrebbe devastare Mosca e l’arrivo proprio a Odessa – che il Cremlino voleva riportare nelle mani russe - degli inviati dell’Intelligence britannica: le voci da Kiev suggeriscono la realizzazione di una base navale destinata a fronteggiare quella russa di Sebastopoli. Quasi a voler ricordare ch’è sempre vivo il disegno di ‘chiudere’ il Mar Nero alla Russia come lo sbocco verso il Mediterraneo, attraverso la porta dei Dardanelli, l’Atlantico, oltrepassando le Colonne d’Ercole, e il Mar Rosso via Canale di Suez.
Non a caso, ad aggiungersi all’Iraq di Saddam Hussein sono stati sottratti a Mosca alleanze cruciali, come la Siria degli Assad (ora consegnata ai fanatici dell’Isis). E ancora. Pur lentamente, prendono corpo i progetti di riarmo nell’Unione europea dettati dal riorientamento e conseguente ricoversione dell’apparato industriale. Nelle fabbriche di auto le catene di montaggio assembleranno carri armati, blindati e motori di cacciabombardieri. Ma altro che sicurezza!
Al contrario, come la storia insegna, potrebbe innescare una di quelle gare a sentirsi meno insicuri che sfociano in conflitti generali. Sulla scia del Trattato INF firmato a Washington nel 1987 che aboliva i missili da teatro europeo, i dodici Paesi dell’allora Comunità economica europea avviarono anche un disarmo delle forze convenzionali e nell’autunno del 1990 venne firmato a Parigi l’apposito Trattato Cfe tra iPaesi Nato e del Patto di Varsavia (che sarebbe stato sciolto meno di un anno dopo). Sette anni di disarmo che per la Germania fu gigantesco e significò un ri-orientamento industriale dal militare al civile. Alla riunificazione di Helmut Kohl seguì l’apertura di Gehrard Schroeder alla Russia e alle sue forniture d’energia.
Adesso, per salvare industria e posti di lavoro che si ritengono minacciati da eventuali riduzioni dimercati (americano e cinese) si vuole inaugurare un processo inverso Il rischio, però, è che non potendo la Federazione russa competere – per quantità di uomini e mezzi - nel potenziamento delle forze convenzionali, sviluppi vieppiù le forze nucleari tattiche, di corto e medio raggio il cui impiego nel Vecchio Continente neppure è più frenato dal trattato INF. Abbandonato nel 2019 da Donald Trump, il quale s’illudeva di rivincere le presidenziali e di avviare un disarmo atomico. Ancora ieri ribadiva che “sarebbe una cosa fantastica”.
Ma intanto la Russia conserva nel numero delle testate atomiche (5.889); gli Usa seguono a non molta distanza (5244); poi la Cina (500); la Francia (290); la Gran Bretagna (225); il Pakistan(170); l’India (164); Israele (90); Corea del Nord (30). Ma sono stime di due anni fa del Pentagono. Presumeva che la Cina le raddoppiasse entro il 2030 e nel 2050 raggiungesse russi e americani, che però già ora ne hanno rispettivamente 6.257 e 5.550.
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