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L'analisi
24 Marzo 2025 - 16:48
Venerdì della scorsa settimana, presso la Fondazione Banco di Napoli si è tenuto un importante convegno che l’Associazione italiana editori ha voluto intitolare “Per una primavera della lettura al Sud”. A tema è stato messo il divario, cospicuo, nella diffusione della lettura tra il Sud, il Nord ed il Centro del Paese.
Per la verità, i dati che sono venuti fuori dall’analisi statistica accuratamente compiuta dall’organizzazione degli editori sono abbastanza sconfortanti, sia per la parte alta dell’Italia, sia per quella che guarda al Mezzogiorno. A leggere per davvero, è una minoranza esigua della Nazione, sol che si consideri che han dichiarato di superare i 12 libri l’anno, non più del 10% del rappresentativo campione considerato: e tra i libri rilevanti per l’indagine, sono stati inseriti anche ricettari, fumetti e guide turistiche.
Dunque, la lettura è una pratica sociale largamente trascurabile, se si considera che, affinché possa produrre degli effetti duraturi e significativi nella forma mentis della persona, deve costituire una consuetudine di vita, non un’occasionalità sporadica, perché altrimenti non si verifica quel tessuto di scambi tra i libri ed il lettore, che costituisce il vero apporto procurato dalla pratica del leggere. Ma un dato ancor di maggiore rilievo mi pare sia emerso dall’indagine statistica condotta dall’Aie.
A stare ai dati registrati dagli intervistatori, c’è un trend che inesorabilmente accompagna le curve nei diagrammi della lettura: mentre dai 15 ai 24 anni la percentuale dei lettori – lettori non ‘forti’, ma comunque lettori – è abbastanza elevato, ed addirittura maggiore al Sud rispetto al Centro-Nord, via via che ci s’inoltra nell’età, la percentuale di chi ha un libro tra le mani, anche solo qualche ora al mese, si abbassa,e sensibilmente. Ed è un dato alquanto sconfortante o, eliminando la valutazione morale dall’ambito osservativo, è un dato carico disignificato.
Esso, mi pare, stia a significare che una certa propensione alla lettura la scuola la trasmetta, per quanto piena di carenze e sul piano delle infrastrutture assai poco inducente – lo stato delle biblioteche scolastiche è disastroso, lo dice la stessa indagine Aie, affidato al solo volontarismo, laddove dovrebbe essere accuratamente presidiato. Ma poi questo influsso si perde rapidamente, quando la frequentazione dell’istruzione s’interrompe, sia essa quella secondaria o quella universitaria. Cosa può voler dire questa evidenza stocastica?
Cosa può significare questa rapida dispersione dell’orientamento alla lettura, sia pure ad una lettura non intensa ma comunque testimone d’un’attenzione per la parola scritta? Può voler dire molte cose ma, a mio sommesso avviso, alcuna in particolare. Cos’è che offre al lettore la frequentazione del libro? Di quel segno linguistico, lostesso al quale in questo momento sto affidando il mio pensiero?
C’è un tratto che solo la parola scritta può recare con forte intensità, che non è trasferito dalle immagini iconiche da cui siamo sommersi, grazie all’attuale dominio mediatico, alla pervasiva presenza di quell’autentica, ed illusoria quanto quella, lampada di Aladino oggi inverata negli smartphone: immagini che ci sommergono con il bulimico trasferimento senza sosta d’ottundenti figure, per assicurarsi le quali tantissimi bipedi implumi si sottopongono ad autentiche corvée, accorrendo nottetempo per nutrire le interminabili file assiepate innanzi agli store nella vigilia dell’immissione sul mercato dell’ultimo, produgioso modello.
La parola, altamente simbolica, richiede l’interpretazione, partecipazione attiva alla ricerca del significato, che non è dato nell’apparente immediatezza dell’immagine sfuggente o delle pochissime righe che l’accompagnano, sulle quali non si ferma minimamente l’attenzione critica del lettore, perché attratto dalla passiva sintesi che l’icona cui la parola è meramente servente passivamente assicura – spegnendo il cervello.
Ed assicurando, quel che è più grave, il pensiero conforme al potere che il gran capitale organizza attraverso media al suo servizio. La lettura è scelta partecipante, attiva, è possibilità di riflettere, di tornare su quel che si è cursoriamente percepito, per verificarlo, interiormente discuterlo lasciandosi sommuovere, ma sommuovere con originaria partecipazione e visione delle cose, che precedenti letture, arricchite da esperienze di vita rese intense dalle letture stesse, permettono di avere.
Insomma, la lettura è l’origine del pensiero critico, aperto, partecipativo, tollerante, consapevole della diversità, contrario ad ogni fanatismo e dogmatismo, cosciente della storicità del tutto: è, in sostanza, all’origine della democrazia e del pluralismo, di ciò che ha fatto, attraverso lunghi secoli, direi da tardo XV secolo in poi, l’Occidente e le sue linee di sviluppo. Ora, a me sembra non sia un caso che, andando avanti negli anni, l’homo occidentis sia allontanato istintivamente dalla lettura.
È facile arguire che, via via che si avanzi nella vita, ci si renda sempre più consapevoli di quanto occorra per affrontarla e per affrontarla con successo: ed il successo, nel mondo attuale, non pare proprio sia affidato al pensiero che s’affina, al rispetto dell’altro, all’attenzione per la diversità e per il riguardo che le si deve. È assicurato da una certa qual sfrontatezza, dalla forza più o meno bruta, una forza che nei rapporti tra gli Stati si va pericolosamente trasformando in militarismo e prevaricazione, per ogni dove ben avvertibili: insomma, all’egemonia spirituale di coloro che vedono più lontano e si sforzano di ricercare le strade della coesistenza, si va sempre più rapidamente sostituendo la soperchieria, la prepotenza e l’imposizione del più forte del momento.
Dunque, alla valenza delle parole, la violenza dell’azione, sempre meno orientata da termini morali – o etici, per gli Stati – e sempre più prescritta dall’efficienza cieca del risultato, prescelto col criterio del più forte. Superior stabat lupus, sintetizzava Fedro, e nel malcapitato agnellino potremmo vedere l’odierno lettore. Non proprio confortanti considerazioni, che però ci si dovrebbe impegnare a smentire con azioni diffuse, larghe, molto concrete. Di cui non si vede all’orizzonte apparire il profilo. Ma mai disperare, sempre impegnarsi.
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