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carte da viaggio
25 Marzo 2025 - 09:48
Sandro Ciotti
I giganti del giornalismo, con la loro esuberanza dialettica e la loro ricchezza aneddotica, ci parlano ancora. Maestri assoluti capaci di dominare la pagina, di lambire la cronaca con effetti speciali, di raccontare non solo quella storia ma tutto quel che si agita intorno. Aedi di un mestiere che era diventato epopea, che non aveva barriere convenzionali, che proiettava sui quotidiani poeti, scrittori, romanzieri, personaggi in grado di costruire ogni racconto con il fascino di una narrazione lucida, tanto sapida, quanto solida. Spesso espressioni di un giornalismo scritto che gli ha concesso spazio e colonne per disegnare il proprio mito, radunando lettori che somigliavano ad una setta di fedeli credenti, sparsi nel Belpaese, pronti, ogni giorno, a quell’incontro cartaceo che profumava di essenze nuove, spesso insondabili. Ed è il racconto dello sport ad aver costruito, in larga parte, questi miti.
Se pensate al ciclismo, al Giro d’ Italia, ad inviati come Vasco Pratolini, Anna Maria Ortese e Alfonso Gatto comprendete come la letteratura si sia intersecata col romanzo popolare di questo Paese, fornendo poi giganti come Gian Paolo Ormezzano e Gianni Mura, di cui si celebrano, in questi giorni, i cinque anni dalla scomparsa. Lo ha ricordato, sul suo giornale, Emanuela Audisio, una delle ultime fuoriclasse della carta stampata. Mura, per la mia generazione, è stato un prestigiatore, un alchimista della parola, un taumaturgo della cronaca sportiva dal quale avevi da imparare sempre, rigo dopo rigo. Non fu semplicemente l’erede di Brera, altro nume tutelare del giornalismo italiano. Col tempo, ha sicuramente superato il Maestro. Mettendo il treno delle sue parole al servizio di cento interviste, di mille cronache. Il ciclismo, così come il calcio, gli è servito a costruire la sua letteratura di viaggio, un settore sempre più raro nel regno italico.
E, nei suoi servizi, accanto ai campioni, i suoi luoghi del cuore, il ristorante come l’ antipasto di una lunga notte. Perdendosi tra Luigi Tenco e Arrigo Sacchi, tra Pantani e Poulidor, amatissimo dai francesi, l’uomo che non aveva mai indossato la maglia gialla. Mentre si accendeva il dialogo con Eduardo Galeano, lo scrittore uruguagio che usava solo parole “ che possono migliorare il silenzio“. Sul suo stesso versante, Gian Paolo Ormezzano, altro giornalista totale, globale. Da solo valeva quanto una redazione. La sua cultura sfolgorante ed enciclopedica gli consentiva di scrivere anche dieci, quindici articoli al giorno, tutti di una qualità straordinaria. In una notte, mise giù un instantbook su Alberto Tomba.
Sempre in una notte ne costruì un altro, in francese, su Michel Platini. Quella voglia di raccontare unita ad una saggezza contadina che è fusione di armoniche culture. Il “Tuttosport “ di cui fu direttore resta un giornale mitico e, forse, irripetibile al quale, giovanissimo, ebbi la fortuna di collaborare. Poi, l’epopea dei grandi cronisti radiotelevisivi. Beppe Viola, un giornalismo che faceva rima con umorismo, amico dall’ infanzia di Enzo Jannacci e dei comici del Derby Club di Milano. Sandro Ciotti, altro giornalista a tutto tondo, narrò al microfono 2400 partite di calcio, 14 Olimpiadi, 15 edizioni del Giro d’ Italia, 9 del Tour de France, 40 Festival di Sanremo, oltre ad altri mille eventi. Negli annali quella volta, nel ’73, che annuncio su “Tutto il calcio“ lo scudetto della Juve, raggiungendo i 23 milioni di ascoltatori. Ma questa è un’altra storia che prima o poi varrà la pena di raccontare.
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