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26 Marzo 2025 - 09:36
In un pugno di giorni l’Occidente a Ryad si sforza di far progredire un difficile negoziato mentre a Parigi rischia di favorire lo stato di guerra. Gli Stati Uniti e la Russia si pongono come obiettivo vicino forse entro Pasqua, forse più in là la tregua in Ucraina. Un cessate il fuoco di un mese che favorisca le trattative. La sicurezza di navigazione nel Mar Nero, le future linee di confine e il controllo di Zaporizhzhya, la maggiore centrale nucleare in Europa, i primi importanti passi da compiere. I massimi rappresentanti dei governi, non tutti,dell’Unione europea che domani si riuniscono a Parigi puntano invece a promuovere il rilancio delle loro industrie riconvertendole alla produzione e allo smercio delle armi. La giustificazione, diciamo pure la scusa, è di doversi difendere da un pericolo. Inesistente. Com’è fin troppo evidente e come sottolinea il massimo loro alleato, l’America oggi di Trump. Fuori dai denti le parole di Steve Witkoff: Putin è sincero quando dice che vuole la pace. Conosciamo le sue condizioni, a cominciare dalla neutralità dell’Ucraina e il riconoscimento della Crimea e delle regioni russofone che nel referendum hanno scelto di ricongiungersi alla “madre Russia”. E sappiamo che non sono condivise dal regime di Kiev. La storia ci fa comprendere il presente e prepara al futuro.
1) Il conflitto in Ucraina non è nato a febbraio del 2022 con una “Operazione speciale” maldestramente preparata e inizialmente fallita, bensì a cavallo del 2014 con il golpe a Kiev contro il presidente Viktor Yanukovich e la prospettiva di completare l’avanzata della Nato fino a un tiro di schioppo da Mosca, profittando dell’odio maturato e sedimentatosi durante i decenni dell’oppressione comunista ai tempi dell’Unione Sovietica. Da allora – sì, lo ripetiamo da tre anni la guerra in Ucraina ha interrotto il processo di riunificazione nella “casa comune europea” dell’Occidente euroatlantico con l’Occidente euroasiatico. Una nuova pagina di storia apertasi grazie a Ronald Reagan, Mikhail Gorbaciov e Boris Eltsin. Il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e l’autoscioglimento dell’Urss nel 1991 chiudevano un decennio inaugurato dall’invasione dell’Afghanistan: l’impero sovietico, che aveva lentamente raggiunto l’apice, si sarebbe precipitosamente sgretolato. Seguirono per la Federazione russa decenni più che difficili, tra riforme economiche e sanguinosi tentativi di separatismo, mentre prendeva corpo il disegno dei ‘Neocon’ americani supportati da apparato militar-industriale e ‘Deep State’. Un progetto che si sposò con le illusioni e gli appetiti ispirati dalla globalizzazione e che influenzò purtroppo le presidenze Usa fino alla prima presidenza di Donald Trump. Una pausa, perché riprese sviluppandosi con quella di Joe Biden.
Lo scopo: spezzare il legame tra Russia e Germania, nel timore di una deriva europea verso est, e minare la coesione dell’impero russo, ricco di materie prime, di energia, di “terre rare” e che , nonostante la perdita di cinque milioni di Kmq, restava poco abitato e da una popolazione multietnica e multinazionale. Ricordarlo serve a porsi un dilemma, già accennato negli scorsi articoli, ma ora da sottolineare: che cosa avverrà se, nelle prossime elezioni di mid-term, Trump perdesse la maggioranza al Senato o alla Camera dei rappresentanti? Questo spiega la corsa contro il tempo dell’amministrazione americana. Gli ultimi tre anni di guerra hanno gettato la Russia nelle braccia della Cina e poco meno dei due prossimi anni se non per recuperarla appieno, almeno per assicurarsene la fiducia e l’equidistanza strategica.
2) Per avere un’idea, per quanto vaga, di cosa significhi il riorientamento dell’apparato industriale in Europa vale forse ricordare qualche dato del processo inverso avvenuto negli anni del disarmo per la fine del confronto EstOvest. Con il Trattato Cfe la spesa per le armi convenzionali registrò, tra fine anni Ottanta e il 1995, un contenimento di circa il 15% . Un risparmio di 65 miliardi di dollari (potere d’acquisto di allora), paragonabile all’esborso sommato di tedeschi e britannici. Furono ‘smantellati’ oltre 6mila carri armati;circa 3mila sistemi d’artiglieria; 300 tra aerei ed elicotteri da combattimento. Nei seguenti due anni, si smobilitò un terzo circa dei militari (da oltre 3 milioni a circa 2 milioni) e dei dipendenti civili dei ministeri della Difesa (da circa 700mila a poco più di 400mila); gli addetti dell’industria militare si ridussero da oltre 5 milioni a poco più di 3 milioni.
Una gigantesca riconversione industriale e quindi anche occupazionale che investì per circa l’80% la sola Germania, dal 1945 terra di frontiera fra Est ed Ovest. Rilanciare l’industria con il riarmo offre prospettive rassicuranti di fronte ai maggiori costi delle forniture energetiche e a mercati che dazi americani, minacciati o prossimi, e aggressività commerciale cinese sposata al protezionismo, potrebbero ridurre se non chiudere. Ma sempre che il rilancio non sia affrettato ed unidirezionale, cioè rivolto al (solo) contenimento della Russia. Il traguardo di una Difesa comune è giustamente perseguito dall’infanzia dell’unità europea, tuttavia essa non andrebbe tarata sulle previsioni di un pericolo immediato inesistente, cioè un’aggressione dell’esercito di Mosca, né che in futuro possa provenire unicamente dall’est, né che abbia come teatro certo il Vecchio Continente.
Per rendersene conto basterebbe guardare al Medio Oriente, all’Africa e al Pacifico dove s’è indirettamente sviluppato un riarmo innescato dal conflitto ucraino. Con Mosca costretta all’abbraccio con Pechino e la nascita dei Brics, sono emerse ancor più intimidatrici le mire cinesi su Taiwan e rinvigoriti i contenziosi territoriali con Giappone e Filippine, a sommarsi a quelli storici con il Vietnam ed altri vicini. Il potenziamento delle forze convenzionali e nucleari da parte dell’Impero di Mezzo,il dispiegamento di ulteriori sistemi spaziali, l’acquisizione continua di ‘terre rare’ (tanto preziose quanto inquinanti) si accompagnano al rallentamento della sua economia da esportazione, che punta a riorientarsi verso l’Europa (di qui il suo interesse alla tregua) e ad espandersi ulteriormente in Asia.
Ecco, di conseguenza, il riarmo in Giappone e Corea del Sud, come si evince dai ricavi delle imprese del settore (auto, moto e… cannoni) cresciuti negli ultimi anni del 25%. Ecco tutti gli altri a riempire gli arsenali, da Taiwan all’Australia, dalle Filippine all’India stessa. Ed ecco perché l’Europa dovrebbe procedere verso una Difesa comune guardando alla Russia non come la nemica ma come un’amica da recuperare. I conati bellicisti di una Katja Kallas servono solo a immaginare quanto sarebbe stata più utile a preparare amorevolmente minestre di cavoli alla famiglia.
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