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L'opinione
27 Marzo 2025 - 10:42
Donald Trump
Ventitremila imprese italiane sono particolarmente esposte alla sempre più concreta prospettiva dei dazi statunitensi. Lo certifica il tredicesimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’Istat, presentato nei giorni scorsi. Queste imprese rappresentano il 16,5% dell’export totale, per un valore intorno agli 87 miliardi. È in gioco il futuro di più di 415 mila lavoratori. I prossimi mesi ci diranno quale sarà stato l’impatto dei dazi decisi da Trump ma, nel frattempo, è doveroso predisporre strategie per fronteggiarne la forza d’urto.
Ed è quanto sta facendo il Governo italiano che, pur in un dialogo costante con l’Unione Europea, spinge per evitare una guerra dei dazi e concertare soluzioni di compromesso con l’alleato americano. Su un altro piano, peraltro, il Governo sta già esplorando le modalità più efficaci da porre in essere per continuare una espansione delle vendite sui mercati extraeuropei in atto da alcuni anni, e alla quale ha dato un significativo contributo anche il tessuto produttivo meridionale. Il problema, naturalmente, sta nel fatto che il principale mercato extracomunitario è costituito proprio dagli Stati Uniti.
La politica dei dazi avviata dal nuovo Presidente, tuttavia, non riguardando solo l’Europa ma anche altre aree del mondo, apre spazi per una maggiore competitività delle aziende del vecchio continente in quei territori. Di qui la ricerca, da parte italiana, di nuove intese con stati come Arabia Saudita, India, Turchia, nonché con diversi Paesi africani.
In questa proiezione, diretta soprattutto verso il Sud del mondo, può trovare spazio da protagonista il nostro Mezzogiorno, sull’onda della crescita esponenziale dell’export fatta registrare nel 2023, e anche in parte del 2024, in alcuni settori come il farmaceutico e l’agroalimentare.
Qui, però, per quanto “l’ultima parola” spetti alle imprese e alla loro capacità strategica e operativa, un ruolo forte è affidato alle Istituzioni, Esecutivo in primis. È importante, negli accordi che si vanno a definire, assicurare alle filiere meridionali opportunità di sbocco concrete, anche con un surplus di servizi e un affiancamento qualificato degli enti preposti all’internazionalizzazione.
In altre parole, bisogna evitare di fare da apripista solo a realtà produttive delle aree forti, sprecando l’opportunità di riequilibrare almeno parzialmente gli asset economici del Paese. Il Mediterraneo è un’area che vede il Mezzogiorno in posizione privilegiata. Sarebbe irragionevole non tenerne conto nelle nuove direttrici di politica economica.
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