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Il punto
31 Marzo 2025 - 10:04
“Se non respingiamo questo tentativo di colpo di Stato non avremo più le urne in Turchia”. Sarà la fine della democrazia. Così, intervistato da “Le Monde”, OzgurOzel - il leader del Chp, il Partito repubblicano del popolo, la maggiore forza politica del Paese - il quale si definisce “portavoce” dei milioni di turchi, segnatamente i giovani, che protestano contro l’involuzione delle istituzioni verso la dittatura. Il presidente Recep TayyipErdogan “ha deciso di arrivare all’autocrazia, costi quel che costi al nostro Paese”.
Poche parole di Ozel che già basterebbero a spiegare perché la protesta infiammi le piazze delle maggiori città della Turchia, a cominciare da Istanbul, la Bisanzio a guardia della porta del Mar Nero, poi Costantinopoli la seconda Roma, oggi il faro che illumina i metodi polizieschi di un regime che apre le galere dinanzi all’opposizione. Ne ha imprigionato dieci giorni fa il candidato alla presidenza - EkremImamoglu, che di Istambul è sindaco - ed ambisce a rinnovare un impero ottomano che appartiene ai libri di storia ma non certo al futuro.
Ozel ha fatto eco alla denuncia che dalla prigione ha lanciato lo stesso Imamoglu: “Questa nazione non si è mai piegata alle grandi potenze, si inchinerà ora a coloro che hanno rubato la volontà nazionale?...(il mio arresto) è una questione nazionale, una questione di giustizia,democrazia, libertà, istruzione e Stato di diritto”. Un regime che vanta il triste primato di un’inflazione nazionale attorno al 30% ma che il Sipri – lo svedese ‘Istituto internazionale di ricerca sulla pace’ – rivela aver reso la Turchia il quarto esportatore di armi al mondo. Alieno al dialogo con i curdi mentre consegna la Siria ai tagliagole dell’ex Stato islamico. Un regime che calpesta l’eredità modernizzatrice del fondatore della moderna Turchia, Kemal Ataturk.
Nei primi decenni del secolo scorso Ataturk fu il principale artefice della trasformazione dell’ex impero putrefatto in una repubblica che avrebbe avuto (ma non certo con lui che, in tempi atroci, non fu estraneo alle stragi di armeni e greci) e le basi di una costituzione democratica su modello europeo, e alla quale dette l’alfabeto latino e la prospettiva di uno Stato laico. Per capirci, il “padre della patria” abolì il velo alle donne perché – sottolineò - “servirebbe solo a nascondere il vuoto al posto del cervello” e invece continuò ad imporlo alle prostitute affinché divenisse subito ostile agli occhi degli uomini, insopportabile all’orgoglio maschilista come lo era prima all’intelligenza delle donne e all’identità femminile. La protesta dilaga in Turchia e c’è da chiedersi che gente abbiamo eletto a Strasburgo e spedito a Bruxelles.
L’Unione europea simile a un promotore di democrazia guercio: da un occhio vede, dall’altro è cieco. Appena una raccomandazione, con tutta la mitezza possibile, verso chi s’erge a nuovo sultano, ribattezza basiliche divenute museo in moschee, scaglia la polizia contro l’opposizione così come i bombardieri contro la minoranza curda. Una Ue che prova quasi vergogna a respingere gli immigrati illegali ma paga profumatamente chi, ad Ankara, la freni in sua vece. E che non s’accorgeva delle mire sulla Siria, quasi un incoraggiamento a liberarla da una spregevole dittatura ma laica, secondo il metro mediorientale, perché espressione di una minoranza (alawita) che per tutelarsi dal fondamentalismo sunnita garantiva anche le altre.
Una Ue che ora sottace sui massacri coi quali i terroristi dell’Isis festeggiano la vittoria (su un esercito di soldati affamati, demotivati e con poche munizioni),sventolando pure il velo scuro di fronte alle donne di Damasco, finora libere d’indossarlo o meno, quasi quanto lo sono ancora a Beirut. Una Unione europea che non fiata quando a lamentarsisono i moldavi all’estero, ma in Russia, perché non trovano molti seggi dove votare. Una Ue che critica i georgiani che di Bruxelles si fidano poco e osano dare i consensi a chi vuole trovare un’intesa con Mosca.
Una Ue che addirittura plaude i magistrati allineati mentre irumeni scendono in piazza perché si sono visti annullare il responso delle urne con la più puerile delle motivazioni… Un’Unione europea che grida di sdegno di fronte alle prepotenze – le vere e le presunte - delcapo del Cremlino (il quale però s’affida senza preoccupazione al giudizio delle urne) ed è invece cieca su quelle del regime ucraino che ai sudditi nega il voto,un realistico negoziato al posto delle bombe e della carneficina, un’alternativa all’emigrazione e alla fuga dalla leva.
Una Unione europea che vede di sfuggita il coraggio dei palestinesi che sfilano tra le macerie di Gaza gridando contro la vigliaccheria di Hamas che li obbliga ad essere massacrati, e invece si limita a riecheggiare il conto dei morti provocati dai bombardamenti israeliani selettivi e non. Cifre inverificabili perché diffuse dai miliziani di Hamas, dei quali Al Jazeera pare il megafono. Mai che ricordi che al potere assoluto a Gaza è giunto sottraendolo con le armi ai “fratelli” dell’Anp e che dalle loro tane i terroristi escono non per far di conto ma solo per sfilare nelle sceneggiate dei rilasci (col contagocce) degli ostaggi sopravvissuti. L’Ue ha occhi orientati solo al pensiero del business del riarmo e della ricostruzione dell’Ucraina, perché spera di sopperire alla crisi che promettono i dazi dell’America di Trump.
Scattano dopodomani. Ma a Bruxelles si è col fiato sospeso già nella vigilia. Domani, infatti, scatterà il primo mini-test politico interno per Donald Trump. Si voterà in due seggi della Florida, uno dei quali per sostituire Mike Waltz nominato Consigliere per la Sicurezza nazionale. Si tratta di collegi elettorali tradizionalmente favorevoli al partito dell’elefantino e di urne che si aprono mentre si plaude alla decisione del presidente di far reinstallare le statue rimosse quando - Biden al timone a Washington - nel partito del somarello andava di moda una ‘cancel culture’ che pretendeva di rifondare la storia invece di costruire un migliore futuro.
Elezioni suppletive ma importanti per tre motivi: perché ad appena un paio di mesi col nuovo inquilino alla Casa Bianca e indicheranno come viene accolta l’irruenza con la quale Trump promuove la sua “nuova rivoluzione americana”; perché giungono dopo il ‘chatgate’ che ha coinvolto proprio Waltz; soprattutto perché la maggioranza repubblicana alla Camera è affidata a tre soli voti. Non a caso, la marcia indietro di Elise Stefanik: prima indicata come nuova ambasciatrice all’Onu ma poi restata a presidiare il proprio seggio al Congresso.
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