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L'analisi
31 Marzo 2025 - 10:10
Donald Trump
Oltre ventiquattro secoli orsono il grande Stagirese, matrice del pensiero occidentale sino ad oggi, lui insieme al suo maestro Platone, aveva ben compreso la cosa: la cosa che ha fatto di Donald Trump la grande sorpresa dell’attuale momento politico.
Nel primo Libro della Politica Aristotele distinse in modo chiaro e netto l’arte dell’amministrare da quella del guadagnare: e per amministrare, egli intendeva, secondo le logiche del suo tempo, reggere la famiglia come reggere lo Stato. La prima, l’arte dell’amministrare, guarda al bisogno; la seconda, al profitto.
La differenza tra le due consiste nel fatto che l’una ha un preciso confine nel soddisfacimento dei bisogni, delle necessità delle entità collettive di cui la politica economica – diremmo oggi – deve farsi carico per rispondere alle domande molteplici che esse presentano per sopravvivere; la seconda, l’arte del guadagno, tende a svilupparsi all’infinito, unica sua regola essendo posta dal perseguimento di sempre maggiori ricchezze.
È un po’ il criterio di fondo del capitalismo: accumulare capitali per averne sempre di più, nella cognizione che di quanto più capitale accumulato si dispone, tanti più investimenti è possibile effettuare, ottenendo così sempre più guadagni, in un circolo che non incontra limiti di principio. E soprattutto non ammette – seguendo il proprio criterio – deroghe. Le deroghe dovrebbero essere appunto dettate dall’arte dell’amministrare, che in termini moderni si chiama: politica.
Detto in parole più moderne, tratte dalla migliore sociologia, nel campo degli affari vige una norma fondamentale: les affaires sont les affaires. Tutto ciò che non riguarda il perseguimento del lucro, deve o dovrebbe rimanere estraneo al mondo degli scambi.
Moralità, giustizia, solidarietà ed altro sono fuori da quel perimetro e, se lo lambiscono, ciò è solo negli strettissimi limiti in cui resti funzionale alla certezza dei rapporti commerciali ed alla loro efficacia. Affatto differente è il campo della politica, un campo tutt’altro che spirituale, per carità, ma un campo in cui la regola fondamentale è la mediazione tra le differenti istanze – ivi compresa quella del gran capitale – che al suo interno si riversano, in modo da identificare e perseguire soluzioni in grado di dare risposte al maggior numero possibile di interessi, di tal che sia assicurata integrazione, coesione e vita comune accettabile.
Ora, è evidente che la strategia posta in campo dal Trump nei primi due mesi della sua presidenza ha spiazzato i tradizionali attori della politica europea. Trump è un uomo d’affari a tutto tondo. Egli non esita ad usare ogni mezzo, lecito o ‘illecito’, per raggiungere il proprio scopo: che è quello di fare gli interessi dell’azienda statunitense, o quelli che egli ritiene essere tali.
È nel suo abito mentale bluffare, minacciare, promettere, paventare, imporre con la forza degli strumenti di cui dispone. E bisogna stare attenti, perché egli di forza ne ha a iosa e non esiterà a farne l’uso più spregiudicato possibile. Anche perché, come ricordava Simone Weil in un passo di Oppression e liberté di recente ricordato da David Bidussa – forse rammemorando la favola del Lupo e l’agnello – «il forte crede sinceramente che la sua causa sia più giusta di quella del debole» e «quando ci sono un forte e un debole, non c’è alcun bisogno di unire due volontà. Perché c’è una sola volontà, quella del forte e il debole ubbidisce».
La recente vicenda delle esitazioni manifestate dalla dirigenza Usa sull’intervenire nell’area del Mar Rosso per rompere il blocco al transito dei mercantili posto in atto dai cosiddetti ribelli Houthi, dà il segno di quali e quante leve di pressione abbiano nelle mani alla Casa Bianca per convincere gli europei a piegarsi alla volontà mercantile degli States.
Del resto, in quei paraggi hanno di certo non poche ragioni da rivendicare, una volta che dal campo della politica si passi a giudicare con i criteri del mondo degli affari. Non v’è dubbio che gli Usa abbiano molto investito nella sicurezza europea; che essi abbiano affrontato gran parte degli sforzi per sostenere la Nato, l’organizzazione militare alla quale è stato affidato il compito preventivo di disincentivare le mire dominatrici del blocco dell’Est prima, e della Federazione russa, poi.
Certo, sarebbe agevole rispondere che gli interessi commerciali Usa si siano fortemente avvantaggiati dal dominio incontrastato militare che essi hanno conseguito, anche grazie alle alleanze con gli europei e con gli inglesi. Gli affari, sì proprio gli affari, dall’epoca di Atene, ed anche prima, in poi hanno sempre viaggiato di conserva con gli armigeri.
Ma il problema è che, quando si passa dal criterio politico a quello degli affari, tante sottigliezze cadono: si misura la bilancia dei pagamenti, si considerano le forze sulle quali è possibile contare, e si agisce senza farsi soverchi scrupoli, tentando di piegare e se del caso anche mettere al tappeto l’avversario. I dazi cospicui che il Trump sta imponendo, e che già stanno facendo avvertire i loro morsi profondi sulle esportazioni, sono solo una delle armi delle quali dispone il magnate americano, anche se tra le più efficaci.
L’idea d’avviare una guerra al rialzo non sembrerebbe esattamente la soluzione più intelligente, considerando anche le imponenti risorse proprie che l’economia americana ha a sua disposizione e la formidabile influenza militare che essa può esercitare, direttamente o indirettamente: Groenlandia docet. Mi pare del tutto evidente che una politica di prudenza, la politica che sta perseguendo il Governo italiano, sia una soluzione necessitata una soluzione da adottarsi bon gré mal gré.
Un gioco al rialzo non credo avrebbe gli spazi di manovra politici ed economici necessari, la sproporzione è assai forte, soprattutto sul decisivo piano militare. Ed una legge inesorabile della politica è il realismo, il realismo della machiavellica realtà effettuale. Se Trump è lì, questo non è accaduto per caso o per mero populismo: gli errori si sono accumulati nel tempo, in un tempo medio ed i sogni ormai sono chiaramente infranti. Ci vuole pragmatismo, il pragmatismo del mondo degli affari non l’idealismo del mondo ovattato, un mondo che in Europa c’è, appunto, solo nel mondo dei sogni.
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