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08 Aprile 2025 - 09:39
“Il dado è tratto”. Così, nel gennaio del 49 avanti Cristo, Giulio Cesare è davanti al Rubicone. Il grande condottiero romano è di ritorno dalle Gallie alla testa delle sue vittoriose legioni. Ora deve decidere se attraversare o no il fiume che scorre tra Rimini e Cesena. Di colpo decide di non fermarsi ed è l’inizio della guerra civile contro Pompeo. Salto bi-millenario della nostra storia e arriviamo al 2 aprile del 2025 con “il dazio è tratto”.
Nel “giardino delle rose”, a Washington, la voce è quella del 47esimo presidente americano. Donald Trump rende pubblico, con una scenografia mondano-spettacolare, l’elenco delle tariffe che dovranno colpire quasi tutti gli Stati che fanno interscambio commerciale con l‘America. Presidente tanto sicuro di sé da proclamare: ora diventeremo molto più ricchi. Differenza tra il “dado” di ieri e il “dazio” di oggi. Giulio Cesare vinse alla grande; con lo scombussolamento commerciale del globo, Donald Trump rischia di compiere “un clamoroso salto nel buio”.
*** L’AMERICA AGLI AMERICANI. Altro momento storico che merita una comparazione. Così proclamò James Monroe, presidente alla Casa Bianca dal 1817 al 1825, riassumendo la sua dottrina che puntava a difendere la integrità territoriale e l’indipendenza del Nuovo Mondo. La stessa frase viene ripetuta, nel 2025, da Donald Trump. Anche qui una differenza di non poco conto fra l’allora e l’oggi. Monroe si difendeva dall’intromissione invasiva degli altri Stati. Questi Stati, invece, Trump li vorrebbe sottomettere a sé usando come strumento la guerra commerciale.
Monroe vinse la battaglia che rafforzava i valori della democrazia e della legalità. Trump, al contrario, con l’illusoria idea che l’America diventerà “più ricca e potente”, difficilmente trarrà vantaggi dal sommovimento globale dei mercati di cui si sta assumendo la paternità (in poche ore dai suoi annunci, Wall Street subisce una caduta di 2mila miliardi di dollari). Inoltre, nel giro di poche ore ben 1400 le manifestazioni di protesta nelle principali città (Washington, New York, Boston, San Francisco, Portland) con la partecipazione di molti esponenti repubblicani.
*** PRIMI ROVESCHI PER MUSK. Nel Wisconsin il campo democratico elegge nuovo giudice dell’Alta Corte (in carica per 10 anni) Susan Crawford. Inutili i 25 milioni di dollari spesi dal “più ricco del mondo” a sostegno del candidato repubblicano. Nota folcloristica ma molto allusiva: in un comizio Musk si è presentato con in testa un ampio cappello a forma di formaggio. Giorni prima altra sua esibizione. In un convegno si lascia riprendere con il braccio destro drizzato in alto inneggiando a 3 dittatori: Stalin, Hitler e Mao responsabili di milioni di morti.
*** MELONI TRA DUE FUOCHI. Le genialoidi uscite di Trump che terremotano borse e mercati, sono la prima vera “grana” con cui deve fare i conti la premier proprio nel momento in cui il suo Governo si piazza, per durata, al quinto posto nella storia ministeriale italiana, potendo vantare conti risanati e occupazione da record. Mentre pensa anche “a più spese per la difesa”, lei prepara il viaggio a Washington per l’esigenza di vedere quali spazi ci sono per i nostri prodotti. Il Financial Times la incalza con una domanda secca: da che parte stai, perchè tergiversi? Prima della sparata dei dazi, il quotidiano inglese ricorda che Giorgia Meloni aveva definito “infantile e superficiale” l’idea di dover scegliere tra Unione Europea e Trump.
Ora si sa che la guerra commerciale serve solo a rendere l’America straricca a danno di mezzo mondo. La premier italiana non può rimanere in mezzo al guado. Deve scegliere: con l’America (“di cui non si può fare a meno”, ripete con molta convinzione), oppure con l’Europa che rappresenta, non solo idealmente, la grande “madre comune” simbolo e custode degli inalienabili valori di civiltà e democrazia. Siamo a uno snodo decisivo e l’appello a non compiere ritorsioni irrecuperabili è ben presente e non eludibile. “Fermezza responsabile” propone Ursula von der Leyen.
Il Presidente Mattarella mette in guardia dai danni che derivano da “protezionismi immotivati”, mentre la cooperazione di mercati aperti “difende la pace e i concreti interessi dei Paesi esportatori”. Meloni tra due fuochi anche a Palazzo Chigi: da una parte Salvini che vorrebbe patteggiamenti “personali” con Trump (pretendendo pure di tornare al più presto ministro dell’Interno) e dall’altra Tajani per il quale “non dobbiamo piegare la testa, ma neanche essere antiamericani”.
*** LE REGIONI ITALIANE. Ognuna valuta perdite e recessione sapendo che è di 64,8 miliardi il valore dell’export italiano verso gli Stati Uniti (il 10,4 dell’intero export del nostro Pese). In allarme Banca d’Italia, Confindustria, Sindacati. Settori più colpiti: vino, olio d’oliva, alta moda, farmaceutica, automotive. Nel NordEst si temono salassi. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, considera i dazi trumpiani il “terzo cigno nero” degli ultimi cinque anni, dopo la pandemia, le guerre in Ucraina e Israele. La Campania si considera la regione più colpita nei comparti agroalimentare, trasporti e automobili come Stellantis, aerospazio. Particolare il ruolo che sta assumendo Tajani: gli imprenditori italiani non scappino all’estero e “Salvini non faccia lo sfasciacarrozze”.
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