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09 Aprile 2025 - 09:00
Donald Trump
La guerra commerciale su scala mondiale è esplosa. Meglio tardi che mai. Era ora che nell’emisfero occidentale, progressivamente deindustrializzato, quello delle cosiddette democrazie liberali, qualcuno si decidesse a rompere gli indugi. Bene per tutti, in Europa,che lo abbia fatto l’amministrazione americana che, senza esitare, a poche settimane dall’insediamento della strana coppia, Trump-Vance, ha introdotto un regime tariffario alle importazioni volto ad arginare il deficit della bilancia commerciale e, soprattutto, idoneo a determinare la ripresa del processo di reindustrializzazione del Paese. Vero è che, negli ultimi trent’anni, il vitalismo economico dei Paesi ad alto reddito, in ragione del gigantesco processo di delocalizzazione della produzione industriale, si è andato progressivamente spegnendo.
È da quando la Cina è diventata membro dell’organizzazione mondiale del commercio che gli indici di produzione industriale consacrano il crollo ed il progressivo svuotamento del comparto manifatturiero, fondamentale per la tenuta economica, delle potenze economiche che avevano costituito il G7 in quanto si autodefinivano come, tra tutti, i Paesi più industrializzati. Le misure di natura protezionistica, energicamente introdotte dall’amministrazione statunitense, determinano ricadute generalizzate sui mercati finanziari in quanto idonee ad stravolgere l’ordine globale e macroeconomico affermatosi dapprima con la firma del trattato istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio, firmato a Marrakech il 15.04.1994 e, successivamente, consolidatosi con l’ingresso della Cina dell’Omc, a partire dall’11 dicembre 2001.
I fenomeni di ritorno che si sono innescati per effetto dell’assimilazione nel Wto, ossia nel medesimo ordine economico internazionale, di democrazie mature e liberali e sistemi totalitari, autocratici e non socialmente progrediti, erano prevedibili. E da tanti, come chi vi scrive, erano stati preconizzati. Eccone una sintetica selezione: 1) si era detto: “l’Occidente esporterà ricchezza ed importerà poverta”; 2) si era aggiunto che “i salari occidentali” sarebbero entrati, al ribasso, in concorrenza con i salari orientali senza che gli operai orientali debbano immigrare e venire a lavorare nelle nostre fabbriche. Non occorre che gli operai orientali si muovano, saranno i capitali occidentali a muoversi, direttamente o indirettamente finanziando le fabbriche orientali. La convenienza ad investire dove la manodopera costa di meno avrebbe fatto scattare, tra i proletari di tutto il mondo, la concorrenza salariale al ribasso; 3) i salari occidentali si sarebbero livellati al ribasso, appiattendosi sui salari orientali, nel mentre il costo della vita sarebbe rimasto saldamente attestato agli alti standard occidentale e lo “spettro della povertà” si sarebbe progressivamente diffuso e materializzato nell’Occidente della decrescita infelice; 4) gli Stati occidentali, come membri degli organismi sovranazionali, ed in particolare dell’ Unione europea e dell’Organizzazione mondiale del commercio, fondate sul dogmatico pilastro del libero scambio, avrebbero supinamente assistito alla contestuale demolizione del proprio sistema di produzione e dello stato sociale, secondo il principio del simul stabunt, simul cadunt.
Ed ora che il fantasma della povertà in Occidente si è materializzato comincia a fare paura non solo nelle famiglie e nelle periferie che votano Afd in Germania, Georgescu in Romania e i lepenisti in Francia, comincia a far paura anche alla grande finanza. Risponde a logiche di senso comune e si prefigge scopi di salvaguardia la tanto vituperata introduzione dei dazi: sono barriere artificiali che possono applicarsi per limitare flussi commerciali provenienti da altri territori. Sono misure di protezione che incontrano la pregiudiziale disapprovazione di chi parla solo per sentito dire, portando il cervello all'ammasso per effetto del martellante condizionamento dell'ideologia globalista.
Rappresentano invece una concreta opportunità di ripresa della produzione agricola e industriale se vengono praticati per arginare importazioni di beni o prodotti provenienti da paesi che praticano importazioni sottocosto, sfruttando in forma disumana la manodopera, violando le regole di sanità o sicurezza dei beni nei cicli di produzione oppure sfruttando asimmetriche economie di scala. Favoriscono il rispetto della dignità del lavoro perché incentivano le assunzioni e l'innalzamento dei salari imponendo alle multinazionali di avviare stabilimenti produttivi direttamente nei Paesi in cui intendono commercializzare i loro prodotti. La guerra commerciale dei dazi è una guerra giusta. È sbagliato il nemico: piuttosto che con gli Stati Uniti, andrebbe ingaggiata con le tigri asiatiche: con la Cina di Xi jimping, con il Vietnam o l'India di Modi.
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