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la riflessione

L’alternativa alla Premier? Una cordata di guastatori

Mezzo Pd vorrebbe “Giuseppy“ a remare sulle galere corsare, l’altro mezzo vuole Matteo fuori dalle scatole

Meloni ringrazia Sangiuliano: «Vicenda privata, governo non è indebolito»

La premier Giorgia Meloni

Un proverbio, tra i più saggi, dice che il fallimento peggiore e definitivo è di chi, invece di ammettere le proprie colpe, cerca di addossarle agli altri. Un modo di agire di per sé sempre sleale. Intollerabile come metodo di lotta politica, creando un clima di sospetti da compromettere ogni positivo discorso. A farcelo dire è il cronico atteggiamento del Pd e dell’arcipelago frastagliato della sinistra. Che, dopo aver governato insieme per anni e fallito numerosi obiettivi, hanno la sfrontatezza di chiedere conto all’odierno governo Meloni di quanto spettava loro fare e non hanno fatto e che, invece, sta facendo il governo.

Tra le tante inadempienze, non bisogna mai stancarsi di ricordare, quella grave della Protezione Civile. Commissariata nell’agosto del 2016 dal governo Renzi con la nomina di Vasco Errani a commissario per le aree terremotate emiliane, successivamente smantellata dal governo tecnico di Monti, infine emarginata da Conte, il Premier per grazia ricevuta. Che, nel 2018, durante il suo governo avrebbe dovuto ripristinarla, come da decreto, ma si distrasse. In seguito, quando si cercò di riorganizzarla per l’emergenza Covid, si ridusse a fare leggere al “responsabile” Borrelli il drammatico quotidiano bollettino dei decessi.

Tutto ciò permise di far emergere Conte, un uomo solo al comando, nel momento più critico, e a fargli trarre poi i benefici elettorali nella futura discesa in campo, già decisa e lo si è potuto chiaramente verificare. Si ha voglia oggi di seminare discrediti: nessun Premier come la Meloni ha dovuto fronteggiare tante criticità : dalle conseguenze disastrose del Covid, alla guerra in Ucraina, già in corso dal febbraio del 2022. Con effetti pesanti per un Paese, come il nostro, privo di materie prime, indispensabili e strategiche per l’economia.

In circostanze del genere, molto delicate, in un contesto internazionale tra i più complessi, una opposizione responsabile avrebbe dovuto avere maggiore sensibilità istituzionale verso la Premier. Invece, mentre la Premier Meloni riceveva apprezzamenti da tutto il mondo per capacità, franchezza e tenacia, in Italia diventava il bersaglio di un’ostile campagna denigratoria, in cui ogni pretesto anche il più futile era buono per metterla in cattiva luce. Una campagna ridotta tuttora a un puerile karaoke: un treno si blocca per un guasto?

E subito Ellyspot sbotta: “Giorgia Meloni non fugga, venga a riferire in Parlamento”. Il tempo di dirlo e subito si accoda Conte, che aggiunge: “Giorgia Meloni sta portando il Paese alla rovina, venga a riferire in Parlamento , non fugga“. Detto da Conte è davvero penoso, considerando che lui fu sfiduciato per inadeguatezza, e solo grazie a Draghi si pose rimedio alle troppe lacune del suo “Pnrr”. Rispedito indietro da Bruxelles a Roma e completato dal nuovo Premier che evitò il rischio di perdere parte dei fondi. Ma la cinica strumentalizzazione della sinistra non ha avuto limiti neanche sui dazi di Trump, ancora una volta per criticare la posizione di equilibrio della Meloni. Molto lungimirante a fronte il successivo slittamento dei “dazi”. Un passaggio questo, da fiaba moderna.

Per Giorgia, la “borgatara”, come sprezzantemente la definisce la sinistra classista, che il 17 aprile sarà alla Casa Bianca per ammansire “l’Orco Donald”. Italo Calvino, che di fiabe si intendeva e tanto, scrisse che “Le fiabe sono vere, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e semprevaria casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata fino a noi: il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e una donna”. Purtroppo l’opposizione si è ridotta a una cordata di guastatori: Conte non vuole Matteo Renzi, che l’ha buttato fuori da Palazzo Chigi, Renzi se ne vanta, e quello che pensa di lui è innominabile, Carlo Calenda non sopporta né Renzi né Conte, neppure se stesso.

Mezzo Pd vorrebbe “Giuseppy“ a remare sulle galere corsare, l’altro mezzo vuole Matteo fuori dalle scatole o su un minareto a raccontare frottole. Se questa è l’alternativa, ha ragione De Luca, da ex governatore ormai, dopo il terzo mandato di… cottura, di prepararsi a far la festa ai suoi tanti estimatori che stanno uscendo dalla clandestinità e allo stesso Pd campano, cui ha riservato uno dei suoi proverbiali strali: “Un partito a… Ruotolo”. E siamo solo all’inizio.

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