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Trump e Xi Jinping: il dilemma di Putin

Non deve allontanarsi per non indebolire la sola alleanza strategica che permetta alla Russia di tener testa all’Occidente

Putin abbraccia Trump (ma chiude con Roma)

Il massacro di Sumy non altera il corso degli eventi. Né più e né meno di quanto influiscano in Medio Oriente le stragi che costellano guerre civili o religiose o tra palestinesi e israeliani, per non parlare di quelle nel continente africano: “dimenticate”, come i conflitti di cui rappresentano null’altro che l’osceno arredamento. Sono strumentali o casuali. La differenza è nella copertura propagandistica sull’uno e sull’altro fronte. Un “tragico errore” oppure “l’eccidio peggiore degli ultimi anni”. Il massacro di Sumy, indecente quanto inutile, raccoglie pietà e costernazione nella Federazione russa. Riprovazione solo in Occidente.

Accusato d’ipocrisia, perché ha spento sul nascere il biasimo per la feroce repressione dell’opposizione al regime in Ucraina o per le recenti uccisioni di civili russi nell’oblast di Kursk e, andando indietro con la memoria, per il sangue sparso nei territori russofoni dal 2014 al 2022 per l’orribile strage di Odessa che servì ad alimentare il consenso a una disastrosa “Operazione speciale”.… Restano soltanto le foto e i video ‘rubati’ alla censura: se non a strappare i sipari calati sulle scene, pur sempre buchi nella serratura. Testimonianze che servono alla verità e alle coscienze di chi ancora le conserva. La guerra si rivela sempre la stessa: disgustosa, sull’uno e l’altro fronte. Valgono solo la vittoria militare e il compromesso raggiunto con le trattative. La vittoria serve a ricordare solo le colpe degli sconfitti e a cancellare le proprie.

Il compromesso ad apprezzare il male minore. La posizione di Vladimir Putin appare in questa fase la più delicata e rischiosa. Il presidente russo deve venire incontro alla richiesta di Donald Trump per una tregua che favorisca il negoziato. Ma non deve allontanarsi da Xi Jinping per non indebolire la sola alleanza strategica che permetta alla Russia di tener testa all’Occidente che ha portato una Nato ostile fin dentro l’ex Unione Sovietica, mira ai tesori dell’Artico guarda con cupidigia al Centrasia e insidia il Caucaso (dove però ieri si è riaperto il dialogo tra Russia e Georgia).

E Xi Jinping è, in questa fase, l’avversario di Trump, è il leader della superpotenza in ascesa che Washington considera aspiri ad ereditare il ruolo che fu dell’Urss, di “altra superpotenza” planetaria. Deve, Putin, profittare della disposizione favorevole del presidente “pacificatore” rientrato alla Casa Bianca, il quale ha caratterizzato sul piano internazionale il suo primo mandato con gli Accordi di Abramo, storica intesa tra arabi e israeliani, e per non aver impegnato gli Usa in avventure militari. Punta, Trump, alla pace in Ucraina e in Medio Oriente perché ha un duplice traguardo. 1) Il rilancio industriale degli Stati Uniti, prigionieri di una globalizzazione dalle condizioni suicide che generadebito pubblico e deficit commerciale fuori controllo, disoccupazione operaia, declino nell’innovazione, dipendenza da produzioni all’estero persino in settori strategicamente sensibili. 2) La ricerca di un equilibrio tripolare Usa-RussiaCina preludio a un futuro equilibriomultipolare (con India, Ue federale…). Resta per Putin il dilemma di come conciliare gli obiettivi misurati sutempi e dinamiche imperiali di Russia e Cina con quelli dell’America di Trump che sono invece a scadenza biennale di verifica.

Il palcoscenico occupato dal confronto sui dazi aveva nelle ultime settimane spostato dietro le quinte le guerre a Gaza e in Ucraina. La strage di Sumy complica i negoziati. Ma non oscura la “missione positiva” di Steve Witkoff, l’inviato speciale di Donald Trump, a San Pietroburgo da Vladimir Putin; né l’incontro a Istanbul tra le delegazioni russa e statunitense con un significativo scambio di spie (vere o presunte); né la riapertura in Oman delle trattative sul nucleare tra Washington e Teheran (già sabato a Roma il secondo incontro); né la disponibilità della Casa Bianca a regolare i futuri rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico non più con i singoli governi del Vecchio Continente ma con l’Unione europea. Apripista dopodomani il nostro premier.

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