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Addio a Francesco
22 Aprile 2025 - 08:20
Papa Francesco
Prima immagine che resta scolpita negli occhi e nella mente: Papa Francesco che in papamobile compie il giro di piazza San Pietro con tutto intorno una fitta corona di persone vivacemente augurali che lo salutano con amorevole devozione e naturale simpatia, e lui che benedice con voce affaticata; primo interrogativo pensiero per immaginare cosa succederà con il Conclave, riunito dopo il complesso cerimoniale della sepoltura: chi sarà il cardinale prescelto per portare sulle spalle un’eredità tanto gravosa? Un africano o un indiano? (Francesco disse di sé: “I miei fratelli cardinali mi hanno fatto venire dalla fine del mondo”).
Attenzione alle previsioni: una prudenza consigliata dall’esperienza per cui chi entra da Papa nel Sacro Collegio ne esce immancabilmente cardinale. E sarà un Papa italiano o europeo? Non sembra proprio che spiri un vento favorevole verso questa direzione. Del resto si può dire che Francesco è stato italiano a cominciare dal nome che ha prescelto: quello di chi ha scritto il “Cantico delle Creature” raggiungendo un altissimo vertice di ispirazione religiosa e poetica insieme. La sua “vena” più espressiva, la “teologia del sentimento umano”.
Nasceva dalle origini piemontesi, dal piccolo comune di Portacomaro in provincia di Asti. Qui nacque il padre Mario Giuseppe emigrato in Argentina nel 1929 con tutta la famiglia (la moglie Regina di origine genovese) in fuga dal fascismo e dalla crisi economia che colpiva l’Italia rurale. Quando dalla finestra del palazzo vaticano che annunciava l’attesa elezione e comparve la “fumata bianca”, si scrisse che in questa “piccola nuvola di fumo” si intrecciavano due storie: quella dell’America latina e quella dell’Italia del Novecento “fatta di valigie di cartone, partenze senza ritorno e fede custodita come eredità spirituale”.
È questa storia “italiana” che ha caratterizzato la formazione del Papa eletto nel marzo 2013 e il suo modo nuovo e diverso di governare la Chiesa, con netta propensione verso i più deboli e i più distanti da una vita appena sopportabile. Non amava le aristocrazie e pensiamo che non ne fosse riamato, al di là dei protocolli formali e degli immancabili obblighi diplomatici. Non amava le oligarchie e le caste dei poteri forti.
Altrettanto forti e ben mirate le sue invettive contro la corruzione politica. Una prova di sua vigorosa denuncia si ebbe nell’area napoletana con la visita fatta a Scampia nel marzo 2015, a due anni dalla sua ascesa al soglio pontificio. Una scelta non casuale. In un quartiere devastato dalla speculazione e dalla miseria, affermò che “la politica è un servizio che si esercita in primo luogo a livello locale, dove il peso delle inadempienze, dei ritardi, delle vere e proprie omissioni, è più diretto e più fa male”. Concluse dicendo che “la buona politica è una delle espressioni più alte della carità,del sorriso e dell’amore”.
Il suo finale come una saetta al cuore degli amministratori disonesti quando ricalca che ”la corruzione spuzza”. Sì, con una “esse” davanti al verbo per sottolineare con più forza la vergogna e la condanna dei politici corrotti. Non è senza significato che, appena ha potuto nominare nuovi cardinali, la sua attenzione si è fermata sull’arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia, che non ha mai smesso di incalzare e denunciare, a tutti i livelli, i comportamenti deviati e illegali degli amministratori pubblici.
Crediamo che nei disegni programmatici di Papa Francesco sia rimasta incompiuta una pagina che, per tanti segni, pesava sicuramente molto sulla sua coscienza di Uomo e di Pontefice: una visita a Mosca o a Kiev dopo l’aggressione di Putin all’Ucraina. Mai dimenticandosi tuttavia di chiudere ogni intervento, dal balcone Vaticano, con un accorato pensiero rivolto alla “martoriata Ucraina”, seguito dall’invito pressante a una pace “condivisa e durevole”.
Ma perché, da quando è scoppiato il conflitto, mai una sua presenza sui luoghi della criminale devastazione? Forse Papa Francesco, che inorridiva per i massacri compiuti, aspettava di avere fra le mani “armi” e “strumenti” più persuasivi soprattutto nei confronti di Putin aggressore, ma anche avendo dalla sua parte il capo della Chiesa ortodossa troppo soggiacente al Cremlino. Ecco, da Papa Francesco, un compito trasmesso al suo successore.
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