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L'intervento

Querele intimidatorie: l’Italia affonda al 49esimo posto

Il Rapporto 2025 di Reporters Sans Frontieres quest’anno ha visto crollare l’Italia dal 46esimo al 49esimo posto, peggior Paese dell’Europa occidentale per la libertà di stampa

Querele intimidatorie: l’Italia affonda al 49esimo posto

Non illudiamoci. In Italia non esiste più un giornalismo come quello delle coraggiose Anna Politkovskaja o Daphne Caruana, ammazzate per la loro incrollabile ricerca della verità. Qui da noi tutti gli operatori dei media sanno bene che, quando i poteri occulti hanno interesse ad eliminare quel giornalista, esiste un metodo semplicissimo, ormai super collaudato: intimidirli, sparando una citazione milionaria per presunta diffamazione.

O anche una querela in sede penale, facendo balenare l’ombra della provvisionale, un risarcimento danni istantaneo che poi lo perseguiterà per tutta la vita con violente azioni esecutive, pignoramenti, messa all’asta dei suoi beni, ufficiale giudiziario in casa per inventariare il divano, il televisore o la lavatrice da portar via e vendere al migliore offerente.

Tutto ciò anche se quel cronista non ha violato alcuna norma, non ha commesso nessun reato, tanto meno di diffamazione. Ha solo esercitato, senza timori reverenziali, il sacrosanto diritto dovere di raccontare e documentare i fatti all’opinione pubblica. La situazione, nel nostro Paese, è esattamente questa.

E quando il potentissimo querelante decide di azionare questo mostruoso sistema, i suoi legali sanno già dove troveranno i “terminali” giusti per ottenere il provvedimento desiderato. Altro che “condizionamenti mafiosi delle organizzazioni criminali al Sud”.

Altro che “pressioni di certe forze politiche sul giornalismo”, di cui si parla il Rapporto 2025 di Reporters Sans Frontieres, che quest’anno ha visto crollare l’Italia dal 46esimo al 49esimo posto, peggior Paese dell’Europa occidentale per la libertà di stampa.

La verità è che in Italia siamo messi così: censura giudiziaria stretta intorno al collo dei giornalisti e conseguente auto-censura di chi vorrebbe, saprebbe fare questo mestiere secondo scienza e coscienza, ma sa altrettanto bene che, facendolo, potrebbe esserecondannato a vita, come accaduto già a tanti suoi colleghi, con un fine pena mai, qual è quello delle sentenze civili di primo grado o delle provvisionali, che fino a dieci anni fa in Italia venivano comminati solo agli artefici di crimini efferati.

E che invece ormai da tempo piovono sempre più frequentemente anche sul capo dei giornalisti indipendenti. C’è un’unica, vera battaglia per tornare ad essere un Paese civile, per riallineare l’Italia alle grandi democrazie europee, dove fatti del genere sono inimmaginabili: quella di assegnare una parità di membri eletti dal Parlamento e di membri eletti dai magistrati all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura. Come avviene in tutte le altre nazioni occidentali.

Basterebbe la riforma dell’Articolo 104 della Costituzione per restituire dignità al Parlamento. E al giornalismo italiano. Ma il sacrario del 104 deve restare inviolabile. Nessun politico, né tantomeno un giornalista, osa nominarlo. Perché chi prova a farlo, qualche giorno dopo potrebbe sentir bussare alla porta, aprire e trovarsi una citazione da milioni di euro. Infondata quanto si vuole, ma che è già un assegno circolare nelle mani di chi l’ha spedita, con lo scopo di silenziare definitivamente quel politico o quel giornalista.

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