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La riflessione
11 Maggio 2025 - 12:56
Il Policlinico Gemelli dove è ricoverato Papa Francesco
Dall’alba del 21 aprile scorso quando la Santa Sede ha dato l’annuncio del ritorno del Figlio alla Casa del Padre, del viaggio al cielo di Papa Francesco all’elezione del suo successore, il cardinale Robert Francis Prevost con il nome di Leone XIV, avvenuta in un luminoso tramonto romano, color giallo ocra dietro il Cupolone, si sono susseguite liturgie e cerimonie uniche, epocali. Da poter definire tutti coloro che le hanno vissute, fruitori privilegiati di un’atmosfera salutare per l’anima. Veder scorrere e scandire per giorni nelle televisioni, sui giornali di tutto il mondo, le tappe del papato di Francesco, rinnovatore e cauto allo stesso tempo, è stato l’omaggio più sincero e dovuto a un Pastore, di singolare semplicità nella guida della Cristianità e di altrettanto spirito nella sua vita quotidiana, vissuta nella residenza di Santa Marta e non nel Palazzo apostolico dei Papi. Vedere, poi, dopo i canonici giorni di lutto per la scomparsa di un Papa, uscire rapidamente dal comignolo del Conclave la fumata bianca per l’avvenuta elezione del nuovo Pontefice nella Cappella Sistina, sotto l’affresco ammonitore del Giudizio universale di Michelangelo, testimonia quel sublime intreccio tra immanenza e trascendenza.
Questo straordinario mix di eventi religiosi ha scosso tutte le coscienze, di credenti e non credenti, incuriosendo persino gli agnostici, ma soprattutto è stata un’occasione storica per approfondire la grandezza del Cristianesimo, la sua indispensabilità temporale e spirituale. Si può dire: le riflessioni, le meditazioni su una serie di testimonianze di fede e di specifiche liturgie si sono rivelate dei veri e fruttuosi “esercizi spirituali” collettivi. Il contribuito di studiosi e la mobilitazione delle coscienze ci hanno fatto vivere in una sorta di astrazione, di isolamento e di distacco dalla realtà, di sospensione da ogni assillo. Ci siamo addirittura dimenticati di un prima, ma a riportarci alla realtà sono le montanti dispute sul significato delle parole del Papa per quell’irriducibile malvezzo di dovergli dare subito una simpatia politica, immaginarlo già schierato, costringerlo alla fazione.
Piano però: le risposte di un Pontefice prendono lo spunto dall’attualità ma guardano alla universalità del messaggio. Dopo una tale esperienza dello spirito, così intensamente vissuta da tanti nei giorni scorsi, è necessario passare dagli “esercizi spirituali” agli “esercizi superficiali”, che servono a tener conto e a badare agli altri delicati e profondi aspetti di vita. Ce ne dà lo spunto una lontana opera dello scrittore Raffaele La Capria, titolata proprio “Esercizi superficiali”, sottotitolo: “Nuotando in superficie”, che indica e si sofferma sulle “tre infelicità del nostro tempo”. La prima, oggettiva, riguarda i problemi insolubili: la fame nel mondo, le catastrofi naturali, le guerre; la seconda, soggettiva, comprende i problemi personali di ognuno; la terza, invece, è rivolta totalmente a stigmatizzare una infelicità “tutta italiana”, costituita da quella forza autodistruttiva che spinge costantemente gli italiani a mettersi contro gli italiani, un male storico di tutti contro tutti, per ragioni reali o plausibili, per ragioni surreali o non credibili, come molte di quelle che oggi ci dividono. Un Paese dove un giorno si dice bianco, un altro giorno si dice nero, non è certo attraversato dal colore della coerenza e della normalità, eppure spesso bianco e nero provengono dalla stessa fonte.
Da quando si è passati dal dialogo possibile al battibecco automatico, da quando la contrapposizione inutile è imposta, in Italia regna il caos del silenzio. Un silenzio assordante, come si usa dire, davvero per le tante voci che si levano, si sovrappongono, si annullano e ci arrivano furiose creando confusione e inconcludenza. Sono le voci del nostro “infernetto quotidiano”. È un’infelicità che viene da lontano, che fa parte del nostro Dna, che viene dal modo in cui si è formato e ha vissuto da sempre il Paese, da quando non era Nazione a quando è diventato Nazione, pur non divenendola mai compiutamente se non nelle commemorazioni (non sempre) e nei campionati mondiali di calcio (quasi sempre). Un Paese che ha sviluppato resistentissimi anticorpi a una maturità di comunità tricolore. Per tornare, in conclusione, al discorso iniziale: la Chiesa può fare molto nell’educare le coscienze, il resto spetta farlo però alle istituzioni per scongiurare le odierne infelicità, che pesano e tanto sul futuro di un popolo.
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