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La riflessione
12 Maggio 2025 - 09:30
Roberto Vecchioni
Prendo spunto da un articolo di Camilla Ferrandi, apparso l'8 maggio scorso su sapere.virgilio.it, inerente al putiferio scatenato sui social da una frase pronunciata dal docente, cantante e scrittore Roberto Vecchioni, qualche giorno prima su La7, in merito al disegno di legge annunciato dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, recante le “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”, e nel cui testo normativo era espressamente prevista la richiesta del consenso alle famiglie per lo svolgimento di “attività scolastiche che riguardano l’ambito della sessualità”.
Detto in altre parole, il ddl prevede che "per tutte le attività didattiche legate all’educazione sessuale, gli istituti scolastici devono chiedere ai genitori o ai tutori degli studenti il consenso per farli partecipare". La risposta stizzita dell'anziano cantautore al suo perfido interlocutore che gli chiedeva conto di tanto abominio, era stata secca e perentoria: "I genitori devono starsene a casa loro, tanto per cominciare, e star zitti“.
In realtà il nostro prof ha fatto anche di più e di meglio, allorché si è provocatoriamente domandato "per quale motivo, se chiesta per l’educazione sessuale, l’autorizzazione delle famiglie non dovrebbe essere necessaria anche per storia o filosofia".
Il mio intento non è quello di entrare nel merito della appropriatezza psicologica, giuridica, etica e pedagogica di quanto il governo italiano avrebbe in animo di legiferare e neanche di replicare altre mie rampogne sui molti doveri ormai declinati tanto in ambito genitoriale quanto in ambito scolastico, ma (nel disperato tentativo di tornare con i piedi per terra) di riportare i termini della questione a un territorio puramente "affettivo" (quale è, peraltro, quello che a cui una materia così delicata, per sua stessa natura, appartiene).
Sarà stata la festa della mamma appena trascorsa o il desiderio di rievocare (e superare) un vissuto personale tanto intimo quanto conflittuale, ma tra i commenti non proprio entusiastici alle parole di Vecchioni, riportati dalla Ferrandi nel suo pezzo, sono rimasto particolarmente colpito da uno pubblicato da una madre che recitava testualmente così: "Caro Professore, questa volta ha sbagliato indirizzo. Lei che di parole ha fatto mestiere e missione, oggi ne ha scelte alcune tra le più misere. E no, non accetto che operatori calati dall’alto, spesso più vicini a una narrazione ideologica che a un’autentica vocazione educativa, decidano senza il mio consenso cosa mettere nella testa e nel cuore del mio bambino”.
E ancora: “Lei chiede perché si debba firmare un consenso per questi temi e non per filosofia. Ma vede, caro Vecchioni, la filosofia non tocca la pelle, non entra nelle paure, nei desideri ancora informe, nei traumi potenziali. La filosofia apre la mente, ma qui si vuole toccare il corpo e il senso più intimo di sé. E allora sì, io voglio sapere chi lo fa, come lo fa e perché lo fa. Perché io l’ho portato nel mondo, io lo vedo dormire, io l’ho tenuto mentre piangeva, e io gli ho insegnato che si può dire ‘no’, che si può proteggere il proprio spazio, anche da chi parla di amore e poi impone il proprio sguardo su tutto”.
Sì è proprio là che voglio arrivare, al tema della identità emotiva, affettiva e sessuale di un ragazzo o di una ragazza, che non può - oggi più che mai - fare a meno del rapporto necessario e sacro tra un genitore (su tutti una madre) e i propri figli. Se entrambi i miei procreatori non furono in grado di sciogliere i tanti dubbi che la sessualità mi pose davanti, non è detto che loro non avrebbero dovuto essere informati quando qualcuno avesse dovuto svolgere per loro conto (e con quali competenze?) quel compito.
Non basta un colpo d'accetta, infatti, per sollevare dalle responsabilità chi per primo dovrebbe rispondere a sé stesso e a chi ha generato per le false immagini del sé e dell'altro, le distorsioni, le scorciatoie, gli orrori e gli adescamenti di cui tutti, grandi e (ahimè) piccini, ormai siamo vittime. Allora è questo il vero tema: "quali genitori per quali figli", più che "figli senza genitori": migliorare il valore di entrambi in un confronto serrato e alto è il solo suggerimento che sento di dare.
Eviterei, invece, battute da sanculotti su temi che tolgono ai genitori una potestà che dovrebbe spettare a loro, solo a loro, e che li priverebbe dell'ennesima responsabilità, oltre alle tante di cui si sono già bellamente spogliati . È certo, infatti, che i tempi oscuri che viviamo lo diventerebbero ancora di più se ad abbuiarli sono proprio gli uomini intellettualmente più liberi e lungimiranti.
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