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CARTE DA VIAGGIO

Il Salone del libro di Torino e il mistero della lettura

Non è stato solo il week-end del calcio, dei sogni, dell’attesa del tricolore ma anche quello della cultura

Il Salone del libro di Torino e il mistero della lettura

Non è stato solo il week-end del calcio, dei sogni, dell’attesa del tricolore ma anche quello della cultura. Salone del libro di Torino, Campania ospite d’ onore, cinquanta case editrici regionali e centinaia di ospiti del mondo dell’editoria e dello spettacolo. Una vera festa del nostro patrimonio librario.

L’incanto della carta e della fantasia. Ma la lettura, indiscutibilmente, si porta dietro il mistero di mille strade. Può essere agile, frizzante, a fior d’ acqua, come quella che imbastiamo su un mezzo pubblico, oppure rilassante, disattenta, un viatico che ci spinge la sera verso il sonno. Tra le tante, possibili declinazioni, c’è una ricetta che si muove su traiettorie decisamente speciali. Calarsi dentro se stessi, affondare nella propria intimità, nutrirsi pienamente di uno scritto, manipolandolo con intelligenza perché offra tutte le sue suggestioni, tutto il suo nutrimento.

Ecco l’identikit che molti privilegiano. È un’impresa delicata, che richiede il tempo di una fatica arcana. Bisogna, preventivamente, staccare la spina col mondo, trovare una scrivania sapientemente illuminata, dotarsi di una matita autorevole che sappia sottolineare, scrivere, asteriscare senza offendere il testo e, poi, potete timbrare il passaporto verso questo viaggio nell’ignoto.

Si verga solo quel che è strettamente necessario, non di più, ma i passaggi, le frasi che meglio segnano quel percorso vanno recuperate, come preziosi capolettere, per contrassegnare più sapientemente quel capitolo, per dare nuovo, autorevole respiro al testo. Senza tralasciare nulla: le introduzioni, i distici, le postille, i ringraziamenti. Anche lì si potrebbe celare una luce nuova ed inattesa, anche lì, in una nicchia sconosciuta, potrebbe emergere un elemento silenziosamente essenziale. Tutto va valutato, attentamente soppesato. Guidati da un codice strettamente personale: l’inventario delle proprie emozioni.

Si legge, si approfondisce e, magari, alla fine di un capitolo, appena il testo offre il candore di un pagina bianca si depositano lì analisi, considerazioni, altre ipotesi di lavoro capaci di irrobustire ulteriormente quel volume. Perché il libro, oggettivamente, non è solo di chi l’ha scritto. Ma anche e soprattutto di chi lo ha letto, arricchendolo del proprio vissuto, della propria cultura. Ho sempre pensato che il valore economico di un’ opera non fosse mai identico.

Molto dipende da chi ha avuto tra le mani quel volume, da come ha saputo impreziosirlo di angolazioni inedite, di pensieri magari alternativi. Offrendo squarci inattesi, soluzioni inaspettate, orizzonti sconosciuti. L’ autore, a mio avviso, è lo stimolo, il vettore di un input. Poi, spetta a chi legge interpretarlo nel modo corretto e smerigliaredi una nuova patina quel testo. Nutrendosi di quelle pagine, per poi vivificarle.

Si procede lentamente, perché la concentrazione richiede il suo tempo, provando a discernere i segreti, le contraddizioni, il reticolo magmatico di quelle storie. Fermandosi, all’occorrenza, per consultare un altro testo, per verificare se quel ricordo, quel sillogismo restano ancora reali, prima ancora di scriverne, rigorosamente a matita. Un’officina incandescente nella quale lavorare a tempo pieno, mescolando, contaminando, evaporando emozioni diverse.

Sapendo poi che, accanto all’ iconografia, o, forse, all’ indice, magari alla bibliografia c’è il capolinea di un sorriso. La coscienza di essersi impadronito culturalmente di quelle pagine, respirando atmosfere e sapori che, ormai, a quel punto, appartengono anche a noi.

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