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Lettera al direttore

Dalla Napoli scudettata una lezione di vita e civiltà

La Ssc Napoli è una delle pochissime società di Serie A ancora nelle mani di un italiano

Dalla Napoli scudettata una lezione di vita e civiltà

Il bus del Napoli per la festa scudetto

Gentile Direttore, vedere lunedì scorso la marea sconfinata di migliaia e migliaia di persone sfilare nelle prossimità del pullman scoperto dove erano assiepati i giocatori del Napoli, reduci dal quarto e sofferto scudetto conquistato all’ultima giornata, è stato commovente non solo, ma anche una lezione di vita e civiltà per chi si ostina ancora con acredine a parlare e presentare la nostra Napoli con il solito stereotipo di città sporca, anarchica, “patria” della delinquenza organizzata e non, e quant’altro ancora.

D’altronde, non è certamente un caso che in modo intenzionale, o per difetto di informazione corretta, che molti quotidiani del Nord, nella magica serata di venerdi 23, dopo l’ufficializzazione della vittoria contro il Cagliari, da piazza del Plebiscito, a piazza Municipio, piazza Dante, e le tante piazze che caratterizzano la nostra città, abbiano titolato l’accadimento, rimarcando al posto dell’impresa sportivavun presunto resoconto di “feriti“ dovuti alla calca della folla, “figlia” dell’“anarchia” dei napoletani.

Capisco la rabbia dei “Soloni“ del Nord, abituati a vedere “scudettate” le solite tre squadre dell’ovest di quella zona. Come accadde negli anni ’90 quando si vinse il primo scudetto e poi il secondo, grazie ad un “genio” imparagonabile del calcio, un “certo” Maradona, si giunse a fischiare l’inno nazionale dell’Argentina per “ritorsione” contro l’artefice dei primi due scudetti, oggi si preferisce contare i feriti di una festa di popolo, annoverando tra questi anche chi si è fatto medicare ad un pronto soccorso mobile o fisso perché caduto in casa o lesionato da uno strumento che stava usando, o vittima della strada come oggi è comune fattore di incidenti.

Credo che i napoletani, tanto più intelligenti e saggi d’altri, abbiano anche potuto osservare qualche viso smorto di commentatori televisivi, il cui sguardo era sfuggente e il sorriso smorzato, forse anche per il pericolo di caduta di una dentiera male “appiccicata” alle mascelle. Certo, motivi veri di discussione non mancano; adesso il “ tormentone” è se l’allenatore Conte rimane o se ne va alla sua Juve.

Per la verità, devo dare ragione al presidente De Laurentiis quando afferma di volere tenere il bravo allenatore pugliese, ma che non può certamente trattenerlo se non gli fa piacere restare. Siamo alla quasi riedizione della vicenda Spalletti, il quale, dopo avere stravinto il terzo scudetto del Napoli, voleva “riposarsi” con un “anno sabbatico”, che in realtà è diventato “anni e anni di Nazionale”.

Al di là del chiacchiericcio che avvolge inevitabilmente ogni vicenda di cui non si conoscono né le basi né i contorni, capisco che un motivo comune di queste “strane” defezioni è nel rapporto presidente-allenatore. Che De Laurentiis abbia un “caratterino” è di pubblico dominio; che abbia una supervalutazione dell’”ego” è altrettanto risaputo, ma bisogna anche fare una riflessione seria ed un’analisi retrospettiva su quanto accaduto dopo i due scudetti dell’era-Maradona.

Il 6 settembre 2004 Aurelio De Laurentiis, romano, diventa presidente del “Napoli Soccer”, subentrando alla vecchia Società del Calcio Napoli, fallita e retrocessa in serie C/1. Era l’epoca in cui la nota e “coraggiosa” nostra imprenditoria faceva a gara per sfuggire all’acquisto del Napoli. Nel 2006 il presidente riacquista il vecchio titolo della SSC Napoli e porta la squadra in serie B. L’anno successivo, la società fu promossa in serie A. Da allora una serie di ottimi piazzamenti, culminati nel titolo della Coppa Italia del 2011 e la partecipazione nel massimo campionato europeo della Champions League.

Nel 2014 ancora il titolo della Coppa Italia. Memorabile, poi, la Supercoppa Italiana, giocata a Doha in Arabia, vinta ai calci di rigore sulla… Juventus. Nel 2020 si registra la terza Coppa Italia vinta ancora contro la Juve, poi lo scudetto stravinto appena due anni fa. Credo sia giusto e doveroso dare atto di questi risultati ad un uomo fino a qualche decennio fa (ora sarebbe assurdo non considerarlo un vero napoletano) romano per nascita e professione (De Laurentiis è uno dei più importanti produttori cinematografici del mondo con la sua “ Filmauro”).

Un’ultima riflessione è, anch’essa, doverosa: la Ssc Napoli è una delle pochissime società di Serie A ancora nelle mani di un italiano. Dopo la notizia che anche l’Udinese passa in mani non italiane, visto che la famiglia Pozzo l’ha ceduta, segnalo un piccolo riassunto delle nostre titolate squadre “italiane”: l’Atalanta ha il 55% delle quote societarie in mano a un gruppo di investitori capitanati dal proprietario Boston Celtic; il Bologna è in mano ad un gruppo di investitori americani, il cui azionista principale è il canadese Saputo; il Como è di proprietà di Robert Hasrtono, magnate indonesiano del tabacco; la Fiorentina dai Della Valle passa alla società italo-americana di Rocco Commisso; il Genoa passa a Dan Sacu, imprenditore Rumeno; l’Inter, già in mani “straniere” con il cinese Zhang passa al fondo statunitense Oaktree; il Milan è nelle mani della Red Bill Capital; il Parma è di proprietà del Krause Group americano; alla Roma c’è Dan Friekdin; il Verona ha come presidente Italo Zanzi, dirigente statunitense; il Cesena è di proprietà del Gruppo americano della JRL Investments.

Chi rimane ancora presidente italiano, oltre a De Laurentiis? Lotito della Lazio; Cairo del Torino; per la Juve, oggi figura come presidente Gianluca Ferrero, ma la reale proprietà è sempre nelle mani degli Agnelli, stavolta, però, con una società ben consolidata in un gruppo olandese, la finanziaria Exor N.V. Non sarà simpatico il presidente De Laurentiis con il suo caratteraccio, ma è un vero italiano, nato a Roma, oggi “napoletano” di fatto e concreto nelle sue azioni. 

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