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IL NOSTRO POSTO
04 Giugno 2025 - 08:40
Martina aveva 14 anni. Ma nonostante la giovanissima età - era poco più che una bambina - ha dato una grande prova di maturità, una lezione che, ora, suona come un tragico monito per tutti noi: perché Martina aveva scelto di essere libera.
Si era allontanata da chi si è rivelato nient’altro che un criminale, consapevole che quella relazione, vissuta come un primo innamoramento e via via diventata sempre più asfissiante, non soltanto si era esaurita, ma andava troncata al più presto. Certo, non si aspettava di pagare con la vita l’affermazione del suo diritto ad esistere, a crescere, a poter innamorarsi di un’altra persona.
Sicuramente la sua inesperienza, la sua ingenuità non le hanno permesso di avvertire l’entità del pericolo che poteva correre, non le hanno permesso di comprendere che sarebbe potuta addirittura morire, in questo modo, ennesima vittima del “controllo”, che, quando non riesce più ad essere esercitato dal mostro, esplode in tutta la sua barbarie e crudeltà.
Attenzione, però, in questa storia l’età c’entra niente, non c’entra il contesto sociale in cui è maturata. Né il fatto che Martina si fosse “fidanzata a 12 anni”: un ragionamento inaccettabile, che trasuda cultura maschilista. Ed è ancor più grave che quelle parole siano state pronunciate nel corso di un convegno pubblico, da un rappresentante delle Istituzioni, dal presidente pro tempore della Campania.
A sentire quella frase, sono letteralmente ripiombato ai tempi in cui si dava la colpa degli stupri alle minigonne e a chi le indossava, e si accompagnava questa considerazione con la cinica espressione “se l’è andata a cercare”! Anche questa volta, invece, come per gli altri - troppi! - casi di femminicidio c’è un solo colpevole: l’assassino.
E non ci vengano a raccontare la storia del giovane innamorato deluso e disperato, del raptus di follia innescato dall’ultimo abbraccio negato. Chi ha tolto la vita a Martina lo ha fatto solo ed esclusivamente perché ha capito che ne aveva perso il possesso e nella sua mente, buia e priva di ogni valore positivo, non poteva permetterlo.
Martina, per quel criminale, era soltanto un oggetto che lui non ha esitato a distruggere a colpi di pietra, vigliaccamente e lucidamente… probabilmente pensando già a come inventarsi un alibi quando si sarebbe trovato il corpo della ragazza, che aveva occultato in un armadio all’interno di una palazzina disabitata.
Compito degli inquirenti sarà fare piena luce su tutti gli aspetti di questa tragedia, anche per vagliare con attenzione le dichiarazioni rese dal reo confesso. Resta però una certezza: il diciannovenne che ha ucciso Martina, non l’ha mai amata, nemmeno lontanamente.
L’amore è un’altra cosa, è vita, sempre e comunque: “D’amore non si muore”. E abbiamo scelto proprio questa frase pure per rifiutare il pericoloso ossimoro di “amore malato” - con cui spesso si provano a giustificare episodi del genere - per la nostra campagna di sensibilizzazione e di informazione contro la violenza sulle donne.
Una battaglia di civiltà che la Lega ha avviato anche in Campania da tempo, con incontri, dibattiti, raccogliendo la testimonianza di chi è riuscita a sottrarsi al proprio carnefice e rappresenta un punto di riferimento importante per le tante donne che non sono ancora riuscite a farlo, tenendo viva la memoria delle vittime, con costanza quotidiana, perché - lo ripeto ancora una volta - si deve agire ogni giorno, con il contributo di ognuno di noi, per provare a mettere fine alla barbarie.
Noi continueremo a farlo con ogni possibile iniziativa - anche attraverso l’azione e i messaggi che diffondiamo sui social e l’allestimento di gazebo - aggregando rappresentanti delle Istituzioni e della scuola, cittadini, associazioni, in una lotta che non ha colore politico e che deve vederci compatti per centrare l’obiettivo comune.
Ma allo stesso tempo - naturalmente per quel che ci compete e dal nostro campo di azione - ci stiamo muovendo anche su un altro piano, proponendo misure ulteriormente stringenti per affrontare questo terribile fenomeno e provare a sconfiggerlo.
Riteniamo, infatti, che chi commette reati del genere, non solo deve scontare in carcere fino all’ultimo giorno di condanna ricevuta, ma non debba aver accesso ad alcuno sconto di pena, né a riti alternativi. Crediamo che ciò possa rappresentare - oltre a un deterrente importante per evitare che siano commessi altri delitti - anche la strada giusta per garantire giustizia alle vittime e alle loro famiglie.
Troppo spesso abbiamo assistito a vicende di assassini tornati in libertà grazie a qualche cavillo legale, a decisioni che si sono rivelate dei fatali errori, come permessi di lavoro troppo frettolosamente concessi. Non dimentichiamo che, meno di un mese fa, Chamila Wijesuriya è morta per mano di Emanuele De Maria, poi suicidatosi.
Un uomo detenuto a Bollate, dove scontava la condanna per un femminicidio commesso soltanto nel 2016 e che già aveva avuto la possibilità di uscire dal penitenziario per lavorare in un albergo. Ha ammazzato di nuovo. Quello di De Maria, purtroppo, non è un caso isolato. E ciò deve fare ancora più riflettere.
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