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Operazione “Ragnatela”: anatomia di un attacco

L’impiego di armi nucleari comporterebbe conseguenze catastrofiche

Operazione “Ragnatela”: anatomia di un attacco

L’operazione condotta dai servizi di intelligence ucraini contro le installazioni aeree russe rappresenta un episodio significativo del conflitto in corso, sebbene i paragoni storici con Pearl Harbor risultino inappropriati e fuorvianti. L’analisi dei fatti concreti rivela un’azione militare di notevole complessità tecnica che ha causato danni limitati ma simbolicamente rilevanti, mentre le esagerazioni mediatiche hanno distorto la portata reale dell’evento. L’attacco giapponese del 1941 rappresentò un’operazione devastante che neutralizzò gran parte della flotta americana del Pacifico, consentendo al Giappone di dominare, nei mesi successivi, un’area geografica enorme.

Al contrario, l’operazione ucraina, anche se tecnicamente sofisticata, ha prodotto risultati tattici limitati senza alterare sostanzialmente gli equilibri operativi del conflitto. La complessità del panorama geopolitico moderno richiede, insomma, analisi più articolate che tengano conto delle specificità tecnologiche, diplomatiche e militari tipiche dei nostri tempi, piuttosto che affidarsi a paralleli storici che, per quanto suggestivi, risultano spesso sbagliati. L’operazione denominata “Ragnatela”, orchestrata dai servizi di “intelligence” ucraini (SBU), oramai molto più dinamici ed efficienti sul campo degli omologhi russi, rappresenta un esempio di sofisticazione operativa che merita un’analisi dettagliata. L’iniziativa ha dimostrato la capacità ucraina di penetrare in profondità il territorio russo, utilizzando una strategia che combina elementi tecnologici avanzati con un’accurata preparazione logistica.

Il meccanismo operativo si è basato sull’utilizzo di centinaia di droni preassemblati, posizionati strategicamente all’interno di veicoli commerciali nelle vicinanze delle installazioni aeree russe e la genialità dell’approccio risiede nell’impiego delle stesse infrastrutture di comunicazione russe per coordinare l’attivazione simultanea di questi dispositivi. Questa tattica ha permesso di aggirare i sistemi di difesa tradizionali e di raggiungere simultaneamente numerosi obiettivi, mentre la scelta di questi bersagli riflette una strategia che mira a colpire “target” di alto valore simbolico e strategico, massimizzando l’impatto mediatico e psicologico dell’azione di guerra. L’operazione ha evidenziato, inoltre, vulnerabilità significative nel sistema di protezione delle installazioni aeree russe, rivelando lacune nella sicurezza perimetrale e nelle procedure di salvaguardia di questi “asset” strategici. La copertura mediatica dell’operazione ha generato, invece, una proliferazione di informazioni distorte e non verificate che hanno oscurato la reale portata dell’evento.

Tra le informazioni più problematiche ed esagerate emergono il ruolo primario svolto dall’Intelligenza Artificiale nell’operazione, la presunta distruzione del 34% dell'intera flotta strategica russa, e le supposte comunicazioni preventive tra Kiev e Washington: tutte cose smentite ampiamente dai fatti. L’evidenza documentale fornita dallo SB Ucraino conferma il danneggiamento grave o la distruzione di otto aeromobili: cinque vettori missilistici strategici, due bombardieri a lungo raggio e un aereo da trasporto militare. Questi dati, pur rappresentando un successo operativo importante, sono ben lontani dalla cifra iperbolica di 41 bombardieri distrutti, diffusa da diverse fonti mediatiche senza alcuna verifica indipendente. Considerando la composizione della flotta aerea strategica russa, la perdita confermata di sette aeromobili equivale a circa il 6,5% del totale. Questa percentuale, sebbene non trascurabile dal punto di vista operativo, non giustifica le descrizioni apocalittiche che hanno caratterizzato molti resoconti mediatici. L’operazione ucraina, pur rappresentando un successo importante, non ha alterato la capacità russa di proseguire le operazioni offensive.

La vulnerabilità dimostrata dalle installazioni aeree russe costituisce, tuttavia, un problema strategico serio, evidenziando carenze nelle infrastrutture di protezione che appaiono anacronistiche per un conflitto come quello in corso. L’operazione è stata anche un diversivo mediatico rispetto agli attacchi ucraini di poche ore prima alle infrastrutture civili nelle regioni russe di Krusk e Bryansk che hanno causato almeno sette vittime tra le persone in transito e che riflettono una tendenza preoccupante che sfuma sempre più, da entrambe le parti, i confini tradizionali tra obiettivi militari legittimi e bersagli civili. Comunque, la tempistica dell'operazione “Ragnatela”, coincidente con i preparativi per il secondo round di negoziati a Istanbul, suggerisce una strategia ucraina volta a rafforzare la propria posizione negoziale, perché l’attacco dimostra la capacità di Kiev di mantenere ancora una certa consistenza operativa e di colpire obiettivi rilevanti, elementi che possono essere utilizzati come leva diplomatico-negoziale. Dal punto di vista russo, la dottrina nucleare teoricamente consentirebbe una risposta atomica in caso di attacchi alle capacità di deterrenza strategica.

Tuttavia, l’impiego di armi nucleari comporterebbe conseguenze catastrofiche che potrebbero compromettere definitivamente la posizione russa. La ripresa dei negoziati, nonostante l’attacco, indica dunque una volontà di mantenere aperti i canali diplomatici. Questo approccio suggerisce che Mosca considera i negoziati un elemento centrale della propria strategia, preferendo assorbire le provocazioni tattiche piuttosto che interrompere il processo diplomatico. Nonostante l’intensificarsi delle operazioni militari, la persistenza dei canali negoziali dimostra che la ricerca di una soluzione politica rimane una priorità per entrambi i contendenti ed emerge con chiarezza che la speranza di una risoluzione pacifica non si è spenta: la pace rappresenta oggi l’unica opzione razionale per entrambe le parti, l’unico percorso capace di preservare il futuro di popoli che condividono una storia millenaria e un destino inevitabilmente intrecciato. Nella speranza che le solite supponenti “manine” europee non si ostinino a voler fare saltare a tutti i costi il banco.

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