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All’Iran avvertimento perché scelga la pace?

Non occorreva essere indovini nel presumere che Benjamin Netanyahu puntasse il mirino sui siti nucleari dell’Iran

All’Iran avvertimento perché scelga la pace?

Donald Trump

Non occorreva essere indovini nel presumere che Benjamin Netanyahu puntasse il mirino sui siti nucleari dell’Iran, per ora con un serio avvertimento, dopo la decimazione di Hamas a Gaza, la disarticolazione di Hezbollah in Libano ma soprattutto dopo i risultati raggiunti da Donald Trump con il rilancio degli Accordi di Abramo tra arabi e israeliani, con l’apertura verso il regime degli ex terroristi Isis in Siria, con le batoste agli houti nello Yemen e con il raggiungimento al penultimo stadio di una intesa commerciale con la Cina, che capovolge tutte le più nere profezie raccolte e diffuse dai media occidentali.

Avvertimento - ché tal è, almeno finora e sebbene durissimo - vagamente preannunciato da Trump in modo che servisse a nasconderne i tempi e l’accusa di connivenza con Washington. Avvertimento che, nelle speranze della Casa Bianca, sproni Guida Suprema, nomenklatura e chierici della dittatura di Teheran ad accelerare l’intesa con gli Stati Uniti.

Un compromesso che non affidi, come in passato, le verifiche alla benevole fiducia dei controllori bensì all’occhio vigile dei sorveglianti. E che rassicuri l’Occidente, di cui Israele resta telecamera e presidio in Medio Oriente. Vedremo se basti. Molti sono i pessimisti e hanno buoni motivi per esserlo. Il “siamo in guerra” di Israele può significare che l’intenzione di Netanyahu superi i confini del serio avvertimento.

Ma sarebbe una sfida agli Stati Uniti che hanno aperto le trattative con Teheran. Un accordo verificabile sul nucleare iraniano, infatti, significherebbe anche altro. Renderebbe, ad esempio, inutile per molti elettori israeliani una ulteriore permanenza di Netanyahu al governo.

Faciliterebbe un patto di convivenza tra ebrei e palestinesi stanchi di massacrarsi. E probabilmente accrescerebbe l’insofferenza della popolazione occidentalizzante iraniana verso i tiranni clerico-fondamentalisti che da circa mezzo secolo l’opprime. Illusioni? Piuttosto, prospettive estrapolate dal novero delle possibilità. Resta, per ora almeno, che l’ultimo atto – solo in ordine cronologico - dell’interminabile crisi mediorientale dà una mano a Trump: mette in secondo piano sia il braccio di ferro sugli immigrati illegali in California, sia la telenovela sulla diatriba tra lui ed Elon Musk.

Trump non è Ronald Reagan. Ma è un “comandante in capo” che non teme di inviare la Guardia nazionale e vorrebbe in azione pure molti più marines a Los Angeles, capitale economica dello Stato. Il più affollato degli Stati Uniti, la California, segnatamente d’immigrati irregolari il cui arrivo è stato favorito da due potentissime organizzazioni: quelle del Partito Democratico, in cerca di consenso, e di un certo padronato in cerca di manovalanza a basso costo.

I Dem per ingraziarseli, agevolandone il diritto di residenza e di voto. E profittare del debito morale della riconoscenza, esprimibile con il consenso nelle urne alle numerose elezioni locali e nazionali. L’ex baluardo repubblicano californiano (Richard Nixon, Ronald Reagan) è da un quarto di secolo, con la pausa di Arnold Schwarzenegger, nelle mani Dem.

Ora con Gavin Newsom, governatore dall’eloquio facile, e di Karen Bass, sindaca di Los Angeles, città malridotta come lo è divenuta San Francisco. Se non le si è visitate di recente, basti ascoltare i resoconti di chi c’è stato o scorrere i loro video, con interi quartieri ridotti a osceni accampamenti di clandestini o luride strade-dormitorio dove i drogati sciamano come zombi… Ancor più è finito in secondo piano il bisticcio tra Trump e Musk.

Al punto cui sono giunti, il passo è breve dallo stappare due birre gelate e riappacificarsi. Ipotesi, quest’ultima, mai esclusa a dispetto persino della scazzottata tra il riccone e il responsabile dell’economia Usa. Come dar torto a Musk quando accusa Trump di voler accrescere il debito pubblico fino a pareggiare addirittura il prodotto interno lordo col suo programma di tagli di tasse e incentivi a pioggia?

Però…però la crescita economica - e quindi occupazionale - non rallenta, anzi. E il dollaro altalenante, come la tattica trumpiana, resta fondamentale negli scambi commerciali internazionali: falliti finora tutti i tentativi di sostituirlo. Come dar torto a Musk quando accusa Trump di sottovalutare l’importanza sia della “svolta green”, sia dello snellimento dell’apparato burocratico malato di elefantiasi e inefficienza?

Però… però Musk aveva confuso i tempi della politica, per quanto accelerati dal capo della Casa Bianca, da un lato non considerando gli iniziali costi e condizionamenti ambientali della reindustrializzazione e, dall’altro, dando il via a una rivoluzione invece che a una riforma, sostenuta ma graduale, della burocrazia a meno di un anno e mezzo dalle prossime elezioni di mid-term.

Troppo impaziente, nervoso, irascibile… Chissà, qualche missile restìo a decollare e un bel po’ di auto elettriche invendute avranno influito negativamente. Ma pare che ora scoprano anche loro ch’è interesse comune far la pace. 

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