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19 Giugno 2025 - 09:16
Secondo una certa letteratura docimologica ben presente nel mondo della scuola e dell’università, la verifica del profitto degli allievi per progredire nel processo di conseguimento di un titolo scolastico o accademico, non è tanto diretto ad un accertamento meccanico dell’approfondimento quanto, piuttosto, a una interpretazione aggiornata dei vari e diversi metodi di valutazione caratterizzanti i momenti formativi dell’insegnamento.
Così il fine ultimo dell’insegnamento universitario è quello di portare i propri studenti, durante la frequenza dei corsi , all’ acquisizione di un bagaglio ottimale di conoscenza di alto profilo tecnico-scientifico e di saper utilizzare strumenti, laboratori, tecniche ed esperienze sufficienti (vedasi il caso delle scienze mediche e sanitarie) per formulare diagnosi e sviluppare con il contatto con docenti e pazienti, un atteggiamento mentale volto ad arricchire, continuamente, la propria formazione per essere pronti a cogliere gli aspetti etici, umani e sociali della professione medica.
In questo cursus di formazione intellettuale, nel contempo, devono trovare spazio, ove necessario, anche gli automatismi e gli aggiornamenti della cibernetica, dell’ingegneria genetica, e dell’intelligenza artificiale, per non sfuggire il presente. Ciò premesso, a completamento, mi sembra giusto richiamare l’attenzione su alcuni capoversi degli artt. 3, 32, 33 e 34 della nostra Costituzione, citati e presi a base dalla recente legge delega n. 26 del 14 marzo 2025. Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”; art 32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’ individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti; art. 33: “l’arte e le scienze sono libere e libero ne è l’insegnamento”; “è prescritto un esame di stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi o per la conclusione di essi e per l’abilitazione dell’esercizio professionale”; art. 34: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi alti degli studi”.
Inoltre, il T.U. del 31 agosto 1933 n. 1592 (legislazione complessa dell’Istruzione Universitaria), con le sue profonde modifiche ed integrazioni) dispone che l’Istruzione Universitaria ha per fine di promuovere il progresso delle scienze e di fornire la cultura scientifica necessaria per l’esercizio degli uffici e delle professioni.
Per raggiungere tale obiettivo, istituisce Università e Istituti Superiori dotati di personalità giuridica ed autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, tutte materie esplicitate con propri statuti di finanziamento ed organizzazione. Stando così le cose, da molti anni in qua, si è privilegiato un sistema di protezione degli studi medici, istituendo, per le lauree magistrali in medicina e chirurgia, in odontoiatria e protesi dentarie e in medicina veterinaria, un vituperato numero chiuso (o programmato) di accesso alle università, mediante prova selettiva con l’ausilio di batterie di quiz e criteri di dubbio pregio scientifico e culturale.
Così, tale fatto ha scardinato il nostro SSN, vanto della nostra classe politica operante nelle Regioni, generando sconcerto tra gli aspiranti “Dottori” provenienti dalla Scuola media superiore e loro famiglie, negando- nella realtà- cure sollecite e gratuite ad una moltitudine di cittadini indigenti e premiando, nel contempo, le strutture mediche parapubbliche, convenzionate o private, molto costose a dir poco.
Tale scelta, ovviamente, ha impedito il “turnover” dei medici nelle strutture ospedaliere e nell’organizzazione capillare dei medici di base. In verità, negli ultimi due anni, si era in attesa di una svolta riformatrice da parte di questa nuova maggioranza di governo, nella politica di gestione delle Università e della Salute pubblica, ma la tanto attesa legge delega n. 26 in parola, fa acqua da tutte le parti: infatti, l’art. 1 della legge è più finalizzato al potenziamento del SSN che all’ abbandono della filosofia delle modalità di accesso ai corsi di laurea, pur se si citano (a mia modesta opinione, a sproposito) alcuni articoli della nostra Costituzione repubblicana.
Inoltre, l’art. 2 della stessa delega al Governo detta limiti temporali di adozione, del tutto ipotetici e risibili, di uno o più decreti legislativi di raccordo con altri Ministeri, relativi alle modalità di accesso ai corsi e alla frequenza per raggiungere l’obbiettivo finale del conseguimento della laurea. A tal proposito, peraltro, il medesimo articolo precisa alcuni principi e criteri di politica universitaria da seguire durante la formazione, limitando così, involontariamente, il principio di libertà dell’insegnamento universitario.
In conclusione, senza essere esperto di discipline giuridico- costituzionali o formative, sono del parere che da una lettura “ingenua” della Costituzione e, nell’ attesa di una auspicata riforma più attenta, sia necessaria la liberalizzazione dell’accesso ai corsi delle lauree suindicate da parte dei possessori dei titoli di studio rilasciati dalla Scuola secondaria di secondo grado. Mi pare, infatti, che si voglia inserire di soppiatto, i vituperati “quiz e criteri selettivi”, durante i semestri formativi successivi al primo semestre “libero di accesso per tutti” agli studi medici.
La considerazione finale è che le nostre Università hanno le competenze per formare ottimi medici e ciò in ossequio alle tassative regole riportate nei propri Statuti per ogni particolare corso di laurea del settore medico. E’ pacifico che tali lauree accademiche possano consentire lo svolgimento di attività mediche solo dopo il superamento di un esame di Stato, espressamente previsto dalla nostra Costituzione per essere abilitati all’ esercizio della professione anche nei paesi dell’Unione Europea e connesso diritto di stabilimento ai sensi del diritto comunitario vigente.
In ultima analisi, a mio parere del tutto personale anche come paziente, il fallimento attuale del SSN non dipende solo dalla carenza di medici, dentisti e veterinari, ma dal fatto che tutta la Sanità sia diventata monopolio delle Regioni, che, per conservare consenso politico, supportano gli “apparati”delle professioni mediche e farmaceutiche. Per dirla tutta, infine, sembra anche che il Ministero della Salute voglia inserirsi, surrettiziamente, nel processo formativo dei medici con una legge che, volendo cambiare tutto (formazione medica ed assistenza sanitaria), miri, in effetti, a volere che tutto rimanga com’è attualmente.
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