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La riflessione

Il monito lontano di De Rita sul “populismo disfattista”

La Nato si rilancia ma “Giuseppi il pacifinto” si guarda bene dal mandare a quel paese l’amico Donald

Il monito lontano di De Rita sul “populismo disfattista”

Giuseppe Conte

In questi giorni ha fatto parlare molto di sé Giuseppe Conte, suscitando stupore, anzi qualcosa in più, in veste di “agitprop” da ztl in giaccia e cravatta, ma quale eskimo!, tra i contestatori all’Aja di Nato e riarmo. E c’è ancora da stupirsi? Questo personaggio, appena dovette lasciare Palazzo Chigi per far posto a Draghi, mica tornò a casa a riflettere sui suoi disastri.

Ma trasformò Largo Chigi in Hyde Park per annunciare dietro un banco da fruttarolo la sua discesa in campo. Il colmo del disprezzo istituzionale! Da premier per “grazia ricevuta”, non si sa ancora per quali canali terreni, seppur intuibili, si disse favorevole alla Nato: oggi, invece, da ex premier, silurato per inadeguatezza e da “aspirante” federatore del campo largo, ridotto a un campo di calcetto, se ne dice contrario.

Intanto la Nato si rilancia ma “Giuseppi il pacifinto” si guarda bene dal mandare a quel paese l’amico Donald. La politica per lui deve ubbidire alle proprie estemporanee convenienze, di cui tracima la sua carriera dal giorno del misterioso, rimasto tale, arruolamento a Palazzo Chigi.

Ora non sappiamo se la Schlein, irritata dal crescente attivismo contiano, che l’ha già ridimensionata, avrà ancora voglia di seguirlo. Di certo non potrà più appiattirsi sul “compagno di merendine” nelle landiniane “piazze piene” e urne vuote. A questo punto il velleitarismo di Conte avverso a intese internazionali non può liquidarsi più con superficialità.

Gentiloni è stato categorico: “Stia attento agli amici putiniani”, rendendo attualissmo il monito di due anni fa di un prestigioso intellettuale, del professore Giuseppe De Rita. Che, in un articolo del 6 dicembre del 2023 apparso sul “Corriere della Sera” sbugiardò convenienze, compromessi, ipocrisie, doppi giochi, i disastri causati da un Movimento “sfasciapaese”.

“Ha favorito con disprezzo – scrisse - un progressivo disfacimento dei processi di scelta e una conseguente crisi della cultura di governo; irrinunciabile, la sola capace di interpretare e governare le complessità circostanti” e adottato invece il “vaffa” come negazione della normale relazionalità tra le persone e radice della rottura di ogni rapporto.

Alimentando attraverso campagne insultanti, la denigrazione, l’ostracismo dei bravi e la sublimazione degl’incompetenti. Un danno gigantesco per il Paese costretto a dover ricostruire i centri decisionali. La clamorosa denuncia deritiana oltre ai massimi vertici istituzionali, chiamava in causa molto altri disattenti garanti di intoccabili regole, e le forze politiche, alleatesi in questi anni con i “disfattisti”.

Un rischio che si sarebbe dovuto intuire, già nel primo ibrido governo Conte del maggio 2019, quando si ebbe - cosa mai vista - un esecutivo tra due populismi, M5S-Lega, contrapposti e in disaccordo su tutto nella campagna elettorale precedente.

Accordatisi però solo per reciproche convenienze nella spartizione, secondo il peso dei rispettivi bottini elettorali e con l’ingaggio, come premier, dello sconosciuto avvocato Giuseppe Conte, fiduciario e estensore di un “desolante contratto papocchio”. Dal voto del 4 marzo del 2018, da quando risultò chiaro che il “tesoretto” elettorale grillino, faceva gola a più di qualche partito, disposto a tutto pur di ritornare al governo, non c’è stata più politica ma solo l’accaparramento di poltrone.

Anche per l’accondiscendenza dell’Europa alle trame di Conte, che, per il suo debutto ufficiale in politica, scelse un’etichetta furbesca, di “avvocato del popolo” senza schierarsi in realtà. Una premiership rivelatasi inadeguata nei drammatici mesi della pandemia, peggio ancora dopo, nella ripartenza.

Da spingere il Capo dello Stato a favorire un governo Draghi di unità nazionale per la ripresa, che Conte farà addirittura cadere per rancore. Come si poteva pretendere di fronteggiare una calamità di tale gravità, se chi avrebbe dovuto provvedere a ricostituire la Protezione civile, come da decreto legislativo del gennaio 2018, fece tutt’altro?

Coltivò la sua immagine pubblica, nelle narcisistiche videate serali sull’andamento del Covid da uomo solo al comando, un’immagine rassicurante e utile per cercare consensi nella possibile discesa in campo politico, poi avvenuta. Convinto di poter fare sempre la festa agli altri, Conte, che se l’è fatta da solo all’Aja alla protesta anti-Nato. Ora è allerta, nel Pd (che non dorme) per fermare il “re dei trasformisti” e “Elly.Spot”.

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