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LETTERA AI LETTORI

Non lasciamo scomparire la lingua italiana

L’italianità è in gravissima crisi. Ogni aspetto della sua cultura, sia eletta sia popolare, è in forte decadenza

Non lasciamo scomparire la lingua italiana

Cari amici lettori, come voi ben sapete, io sono profondamente napoletano e mi batto per conservare la mia lingua, che quando ero ragazzo si parlava correntemente in casa. Sono, tuttavia, anche un convinto italiano. Come potrebbe non essere così, visto che ho completato tutti i miei cicli scolastici prima del millenovecentosessantotto? Sarei anche europeo, se esistesse una vera Europa e non quella deleteria Unione, essere sottoposti alla quale è motivo di delusione e disgusto.

Restiamo, intanto, all’Italia. L’italianità è in gravissima crisi. Ogni aspetto della sua cultura, sia eletta sia popolare, è in forte decadenza. Poiché il discorso va ristretto allo spazio di un articolo, la cui eccessiva lunghezza stimola il lettore a passare altrove, occupiamoci dei due aspetti di questa crisi che mi appaiono più evidenti e più legati alla contemporaneità.

Il primo è la lingua. L’uso di parole inglesi in luogo di quelle italiane è diventato insopportabilmente invasivo. Perché dire week end e non fine settimana, smart working invece di lavoro da casa, football per calcio, baby-sitter per bambinaia, topless per senza reggiseno, coffee-break per pausa caffè, corner per calcio d’angolo, happening pe avvenimento, leader o boss per capo, monitor per schermo, news per notizie, privacy per riservatezza, strip-tease per spogliarello, meeting per riunione, low cost per economico, o.k. per va bene, match per incontro. Continuate voi, perché l’elenco è infinito.

Se vi pare, chiamatemi pure fascista: quel regime aveva abolito quest’obbrobrio ed io la trovo una cosa giusta come quella di far arrivare i treni in orario. Oltretutto l’uso smodato di queste degenerazioni del linguaggio è tale che una persona anziana come me spesso non riesce a comprendere un testo che contiene parole come “woke” e deve scegliere se prendere il dizionario inglese oppure abbandonare la lettura o l’ascolto del testo.

Il secondo è lo sport di massa, invaso dai forestieri. Prendiamo il calcio. Neanche il miglior tecnico riesce più a formare una squadra decente per mancanza di giocatori, pur sfruttando qualche straniero naturalizzato riconoscibile dal cognome. Al contrario, recuperano giocatori italiani emigrati altrove, come Donnarumma. Perché accade questo, che è un altro evidente insulto alla Nazione?

Se ci pensiamo un momento, scopriamo che solo due squadre di serie A (Juventus e Atalanta) presentano squadre allievi nei campionati nazionali; l’Atalanta ha, grazie ai giovani cresciuti in casa, un bilancio attivo e successi internazionali imprevedibilmente conquistati. La colpa, certo, non è tutta delle squadre. I giovani, che ai miei tempi giocavano a pallone in strada, poi nei campetti parrocchiali e poi, magari, nella squadra locale, oggi sono per lo più isolati a maneggiare un telefonino multiuso (smart working?), per lo più a cimentarsi in giochi di guerra e morte.

Quelli che si riuniscono lo fanno per scontrarsi, delinquere e via dicendo: sono delinquenti giovanili (baby gang) di una specie che ai miei tempi giovani nemmeno s’immaginava. Le squadre sono responsabili, nel calcio come in altri sport in cui sono gli organizzzatori a scegliere i concorrenti. Una delle cose che più m’infastidiscono avviene nell’automobilismo, uno sport che ci dette grandissimi campioni: prima Tazio Nuvolari (con Varzi, Campari, Bordino e Ferrari, che guidavano Alfa Romeo, Ferrari e Maserati) poi Alberto Ascari (con Villoresi, Farina, Bonetto, e Taruffi) due volte campione mondiale con la Ferrari.

La Ferrari, poi, ha vinto ancora, ma sempre con piloti stranieri. Quest’anno non vince ed ha un pilota monegasco e uno inglese. Oggi esiste un pilota italiano giovane e di buon livello, ma per partecipare alla “Formula uno” deve guidare una tedesca Mercedes. Ho cercato di fare degli esempi evidenti, ma avrei potuto farne altri. Importiamo stranieri in tutti i campi, non solo nella criminalità (organizzata e no).

Non abbiamo più abbastanza contadini e operai (in agricoltura utilizziamo gli schiavi, organizzati da personaggi come l’onorevole Sumahoro), ma questo non ci evita di importare pomodori e frutta in quantità da altri paesi. Anche nelle chiese i sacerdoti giovani sono in gran numero importati dall’Africa, il che va a lode di quel continente non abbastanza compreso né apprezzato, ma certo a disdoro della nazione che è ancora la sede centrale del Cattolicesimo.

In conclusione, l’Italia si avvia a tornare nell’epoca compresa fra la caduta dell’Impero Romano e l’Unità: una semplice espressione geografica, come la definì un colto e intelligente statista austriaco.

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