Tutte le novità
L'opinione
29 Luglio 2025 - 09:42
Francesca Albanese
Nel teatrino un po' naif e un po' distopico dell’opinione pubblica contemporanea, dove le posizioni si cristallizzano e i dibattiti si trasformano in duelli tra gladiatori “intellettuali”, emergono di continuo personaggi che incarnano perfettamente la quintessenza della sordità “volontaria”. Sono quelli che non solo si rifiutano di ascoltare, ma si ergono a giudici supremi della verità.
Il caso delle continue esternazioni di Francesca Albanese sulla situazione a Gaza e delle reazioni di solidarietà, spesso soltanto umorale, che suscita in alcuni segmenti dell’opinione pubblica, forniscono lo spunto perfetto per una riflessione più ampia su un male endemico del nostro tempo.
La relatrice Onu, con i suoi rapporti che gridano al "genocidio redditizio", si muove in un contesto polemico e metodologico dove ogni parola diventa una dichiarazione di guerra e ogni posizione una trincea da difendere a oltranza. Da un lato c’è, nell’ambito delle varie sfumature arcobaleno della sinistra, chi la santifica come profetessa della verità, dall'altro, c’è chi la demonizza oltremisura, attribuendole una rilevanza che non ha, perché non è né la prima né l’ultima esponente di un pensiero “arroccato” su determinate posizioni.
In mezzo c’è il nulla: il vuoto pneumatico di un confronto che non esiste più, sostituito da una cacofonia di slogan e anatemi. Il vero problema, allora, non è tanto la Albanese e il suo “brand” narrativo e di pensiero meticolosamente presentato al pubblico, quanto il modo con cui si conduce, i certi ambienti ben definiti, questa polemica.
Assistiamo, infatti, a un balletto surreale dove ciascuno recita il proprio monologo, sordo agli argomenti di chi la pensa diversamente e convinto di possedere non solo la verità, ma anche la superiorità morale e intellettuale per amministrarla.
Tutto questo mi fa venire in mente l'osservazione di una grande attrice internazionale che ancora calca le scene e che, con la semplicità tipica di chi ha vissuto molte vite sul palcoscenico e sul set, ci ricorda una verità elementare: prima di intraprendere qualsiasi discussione dovremmo chiederci se il nostro interlocutore possiede quella maturità necessaria per concepire l'esistenza di una prospettiva diversa dalla nostra.
Perché, e qui sta il punto dolente, non è vero che ogni conversazione merita il nostro investimento emotivo. Esistono persone che non ascoltano per comprendere, ma solo per replicare, per smantellare, per affermare la propria presunta superiorità intellettuale.
Sono individui intrappolati in una bolla di autocertificazione che li rende impermeabili a qualsiasi stimolo esterno che possa mettere in discussione le loro granitiche certezze. La polarizzazione del dibattito pubblico ha creato un esercito di questi "sordi volontari" che si aggirano per i social networks e i “talk” televisivi brandendo le loro convinzioni come spade laser, pronti a tagliare qualsiasi argomento che non si allinei perfettamente al loro sistema di credenze.
Non importa quanta logica, quanta verità, quanto buonsenso si possa investire nel tentativo di instaurare un dialogo: troveranno sempre il modo di distorcere, deviare, sminuire le parole dell'interlocutore. Il confronto sano presuppone invece, a mio avviso, un ingrediente fondamentale: l'umiltà intellettuale. La capacità di ammettere che, forse, la realtà è più complessa delle nostre categorie mentali, che esistono sfumature che sfuggono alla nostra comprensione, che l'altro potrebbe avere ragioni degne di considerazione.
Ma come dialogare con chi si è auto incoronato depositario della verità assoluta? Come confrontarsi con chi considera ogni dissenso non come un'opportunità di crescita, ma come un'offesa personale alla propria intelligenza “superiore”?La risposta è tanto semplice quanto liberatoria: non si può e non si deve.
Esistono persone con cui il confronto è non solo inutile, ma dannoso. Prosciuga energie, genera frustrazione, alimenta quella spirale di tossicità che sta avvelenando ogni spazio di discussione pubblica. La saggezza sta nel riconoscere quando ci si trova di fronte a un muro mascherato da interlocutore e nell’avere il coraggio di voltare le spalle. Non è resa, è strategia. E non è certo una fuga, ma è conservazione dell'energia vitale.
Non è disimpegno, ma è la scelta consapevole di non alimentare un sistema che trasforma il confronto in uno spettacolo muscolare di ego feriti e di orgoglio malinteso. Perché, purtroppo, il sordo per eccellenza non è quello che non sente: è quello che sente tutto, ma ha deciso che solo la sua voce merita di essere ascoltata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Copyright @ - Nuovo Giornale Roma Società Cooperativa - Corso Garibaldi, 32 - Napoli - 80142 - Partita Iva 07406411210 - La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo - Il giornale aderisce alla FILE (Federazione Italiana Liberi Editori) e all'IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo giornale può essere riprodotta con alcun mezzo e/o diffusa in alcun modo e a qualsiasi titolo