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il ricordo
04 Agosto 2025 - 11:18
Salvo rare eccezioni, il capo non ha niente a che vedere col maestro. Per la Treccani il capo (dal latino caput), infatti, è "persona che dirige, che è posta al comando di altre persone (in quanto il capo, cioè la testa, è la parte principale e più nobile del corpo; in questo significato, la parola può essere invariabilmente riferita, come titolo, anche a donna che eserciti tale funzione)". In linea con la precedente definizione per Oxford Languages il capo è "persona cui si associa il ruolo di direzione, preminenza, eccellenza". Insomma un "primus", che non sempre o meglio, solo molto raramente è "inter pares". Il maestro è tutt'altro. Anzi si può ragionevolmente dire che, talvolta, è proprio l'opposto. Per essere un capo, basta che qualcuno che ne ha il potere e per i motivi più svariati, talora anche i più abietti, lo abbia nominato.
Non accade quasi mai direi per la natura stessa del principio di verticalità insita nel governo del potere che la designazione avvenga per naturale gemmazione dal basso, cioè che l'investitura sia il frutto dell'illuminato riconoscimento di quelli che con il loro condottiero ci hanno studiato o lavorato e ne hanno riconosciuto l'indiscutibile valore, se non addirittura l'imprescindibile ruolo di guida, non solo professionale, ma anche spirituale e morale. In quel caso, infatti, sarebbe un maestro, e non solo un capo È già tanto se nella designazione finale di un capo si proceda per titoli e meriti acquisiti sul campo. Ma anche in questo caso il nominato non necessariamente sarà dotato del ruolo di maestro. Anzi, dirò di più, non saprà in alcun modo valersene (sennò che maestro sarebbe), ammesso che per una qualche nobile ragione gli interessi. Maestro deriva, infatti, dal latino magister, che a sua volta trae le sue origini "dall'unione di magis (più, maggiore) e il suffisso comparativo ter".
Quindi, il suo significato originale è "il più grande" o "il più esperto", indicando "una persona di grande competenza in un determinato campo". Da cui magistero, che fa chiaro riferimento "all'autorità, all'insegnamento, all'abilità o alla maestria di un maestro, o all'esercizio stesso di tale insegnamento", e che, tra le sue innumerevoli declinazioni semantiche, ne comprende una usata in chimica che vuol dire "sostanza di virtù maestra", un'articolata combinazione di fini materiali calcarei che opportunamente mescolati e disciolti assumono proprietà straordinarie. Ma non tutto (o affatto) è confinato all'insegnamento in senso stretto. Anzi, per Socrate il vero ruolo del maestro non è trasferire nozioni o competenze, bensì quello di "ispirare". Questo è dunque il maestro, un individuo asceso alla conoscenza e alla saggezza e la cui eccezionalità in termini educativi e formativi è affermata dai suoi discepoli e non da un'entità terza, dispensatrice solo di titoli e prebende.
Il maestro non ha, infatti, necessità di nessuna delle due, anche se talvolta le acquisisce per "utilità sociale" o perché (a dirla tutta) "non potrebbe che essere così". Il giuramento di Ippocrate dei medici di 2500 anni fa lo include non facendo invece alcun accenno al capo con chiare e celebrative parole: "(Giuro) di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro".
Io un maestro l'ho avuto (come ho avuto l'onore di lavorare con sua figlia, a cui mi lega ancora un profondo e duraturo affetto) e se da qualche giorno se n'è andato, non lo ha fatto da me né da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di stargli quotidianamente (per molto o per poco) affianco, non dai nostri costrutti logici e morali, non dal metodo da lui appreso e ancora utilizzato nel nostro fare quotidiano, non dai nostri cuori. Mi piace pensare che qualcuna delle indicibili cose che mi ha insegnato, quasi più con i gesti che con le parole, io sia riuscito a trattenerla per donarla a mia volta a chi mi ha accompagnato nei polverosi anni di lavoro e di sogni che sono seguiti al nostro incontro.
Ben sapendo (non senza un pizzico d'orgoglio) che come ha detto Claudio Magris in un intervento pubblico milanese del maggio 2017 "Avere autentici maestri è una grande fortuna, ma è anche un merito, perché presuppone la capacità di saperli riconoscere e di sapere accettare il loro aiuto”.
In memoria del Professor Vincenzo Bonavita
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