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Giudici o legislatori? I ruoli oltre la legge

Sarebbe necessario un gesto collettivo di responsabilità ed il rientro di ciascuno nelle proprie armonizzate sfere di competenza

Giudici o legislatori? I ruoli oltre la legge

Ha suscitato reazioni analoghe a quelle che esplodono in una competizione sportiva tra i contrapposti sostenitori dei campioni in campo. Parlo della decisione assunta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione del controllo da parte dei giudici della qualifica di ‘paese sicuro’ riconosciuta o meno ai luoghi di provenienza dei migranti non autorizzati. Si ricorderà che il governo di Roma ha organizzato un centro in Albania dove trasferire rapidamente i migranti provenienti da Paesi appunto sicuri – per i quali non v’è quindi ragione di accordare asilo, salvo poi casi individuali – per poi avviarli al rientro nei luoghi di origine. Anche un modo di disincentivare, questo è ovvio, il fenomeno. Sennonché la Sezione competente per le immigrazioni del Tribunale della Capitale, presieduta dalla leader di Magistratura Democratica (la corrente più a sinistra della magistratura), ha ritenuto di potere sindacare la qualifica di ‘paese sicuro’ che il Governo, o il Parlamento, abbiano assegnato a questo o quel luogo di partenza dei migranti.

A rigore, la tesi del Tribunale di Roma, come quella della Corte di Giustizia UE che l’ha legittimata, sono perfettamente in linea con la giurisprudenza ormai affermatasi italiana ed europea. Le norme dello Stato che contrastano con quelle europee – ‘paese sicuro’ è definizione europea – possono essere disapplicate dai giudici che ravvisino questo conflitto. È il principio della cosiddetta prevalenza del diritto europeo ed anche sovranazionale che – in nome di un percorso inteso a contrastare i nazionalismo in vista di un federalismo più inclusivo ed integratore peraltro molto distante dall’attualità – tende a delimitare la sovranità dei singoli Stati in vantaggio di autorità che, essendo più elevate e partecipate, dovrebbero (ottimisticamente) assicurare una maggiore vicinanza tra le regole giuridiche da esse dettate ed i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino. E dunque spetta anche ai giudici assicurare il rispetto di queste norme sovranazionali, anche ponendo nel nulla le nazionali.

E c’è anche dell’altro che dovrebbe fondare la decisione UE e non giustificare le reazioni da competizione sportiva che si son dette. In effetti, compito tipico del giudice è la verifica del rispetto dei diritti individuali, al cospetto delle norme sociali, legali o di costume che siano. Sicché un contrasto tra quanto vorrebbe il potere costituito e la difesa del diritto individuale sarebbe a sua volta nelle cose, non dovrebbe scandalizzare che il giudice se ne occupi e dovrebbe anche trovare plauso e riconoscimento collettivo. Tutto questo, in teoria. Perché se reazioni così forti si sono verificate, se nella vicenda può leggersi anche un contrasto tra la politica della Commissione UE e la Corte di Giustizia, qualche ragione dovrà pur esserci. E le ragioni sono evidentemente storiche, ma anche intrinsecamente tecniche. Storiche, perché, soprattutto in Italia, ma non solo, la giurisdizione ha teso ad assumere ed occupare spazi che non sono i propri – almeno secondo il modello della divisione dei poteri – ed a fare politica, vale a dire ad inserirsi in processi decisionali che non hanno a paradigma concreti parametri normativi precostituititi, o almeno robustamente determinabili, bensì categorie di giudizio che fanno riferimento a valori molto lati, quelli propri della politica che nelle democrazie si decidono sulla base del principio di maggioranza attuato attraverso un ampio e partecipato dibattito che preceda la deliberazione: insomma, la democrazia deliberativa teorizzata da Jurgen Habermas ed altri.

Il fatto che i giudici italiani – esasperando un fenomeno non estraneo a vari Paesi, che peraltro vi stanno reagendo – ritengano oggi dì di poter discettare delle gerarchie valoriali, e di fissare essi le gerarchie valoriali e d’imporre attraverso il temibile potere della giurisdizione – il qualeafferma senza alcun confronto pubblico, ma nel chiuso della camera di consiglio – questo fatto li ha resi protagonisti della scena politica e dunque li ha per certi versi valorizzati, ma per molti altri resi ‘parte’, quando non anche partigiani. E tale evoluzione non giova affatto alla loro sempre precaria credibilità, scaraventandoli nel mezzo di polemiche infuocate, quelle proprie della politica. La giurisdizione, priva com’è di legittimazione consensuale – almeno in Italia – si giustifica e radica in un ruolo socialmente riconosciuto, per il fatto d’essere tecnicamente attrezzata e rigorosa attuatrice di regole fissate da altro decisore, il politico.

Quando finisce coll’assumere il ruolo del politico, ne riceve l’intero novero di attributi, anche quello di non potersi più trincerare dietro la copertura del tecnico che ‘applica la legge’. E succede quel che sta succedendo. E qui si viene al secondo punto. La definizione di ‘paese sicuro’ è di quelle che per forza di cose hanno un forte contenuto convenzionale: vale a dire, che non esiste alcun paese del tutto sicuro in ogni sua aiola, per ogni suo abitante. Esistono paesi che lo sono più che altri e che pertanto, convenzionalmente, cioè per una sorta di pattuizione linguistica, vengono definiti tali. E perciò non possono esserci più soggettideputati a stabilire se un paese sia o meno sicuro, per l’ottima ed ora detta ragione, che non ne esiste uno che possa in assoluto meritare questa coccarda.

È una qualifica e come tutte le qualifiche ci vuole un potere che possa darla, senza che sindacato sia da altri esercitabile, se non a patto di levare a quella qualifica il significato d’esser tale. Immaginate se qualcuno potesse andare a sindacare se un tal laureato meriti il titolo che uno del centinaio d’atenei svolazzanti per l’Italia abbia lui conferito: sarebbe la fine. E così è per la qualifica di paese sicuro. Sicché, per un verso la politicizzazione evidente dei giudici, per un altro la vaghezza dei parametri sulla base dei quali la qualifica di paese sicuro viene riconosciuta fa sì che gli animi si scaldino e che – cosa ben più grave – la credibilità delle istituzioni, di tutte le istituzioni sia messa a serissimo rischio Sarebbe necessario un gesto collettivo di responsabilità ed il rientro di ciascuno nelle proprie armonizzate sfere di competenza. Ma d’armonia, non mi pare siano questi i tempi per seriamente parlare.

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