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l'analisi

Anatomia dell’intellettuale che sa di non sapere

Creatura sublime nel suo anacronismo

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In un'epoca in cui tutti sanno tutto su niente e niente su tutto, emerge una figura tanto pittoresca quanto patetica: l'intellettuale progressista, schierato a sinistra. Creatura sublime nel suo anacronismo, questo personaggio attraversa i salotti buoni della cultura con l'eleganza di un pavone che ignora di aver perso, da tempo le penne e le piume. L'intellettuale progressista soffre di una peculiare patologia: l'onniscienza selettiva. Sa tutto delle sofferenze del mondo, purché si trovino almeno aqualche migliaio di chilometri da casa sua ed è pronto a discettare per ore sui drammi del Medio Oriente di cui sa tutto senza esserci mai stato e lo fa con enciclopedico fervore mentre ignora, ovviamente di propositoperché politicamente non redditizi, i massacri in corso nel Congo e nel Sudan o gli scompensi sociali che le dissennate politiche europee generano, ad esempio, nel settore dell’agricoltura e in quello energetico.

È commovente, insomma, questa sua capacità di vedere l'universo soltanto attraverso il buco di una serratura, purché la serratura sia decisamente orientata a sinistra e munita di tutte le protezioni politicamente corrette. La supponenza culturale di questo personaggio si manifesta in forme raffinate: cita Voltaire,Freud, e Foucault a ogni “ospitata” televisiva, ma non sa comprendere e interpretare la realtà e il cambiamento quando esulano dalle linee guida del pensiero unico di cui ama nutrirsi. Conosce a memoria le teorie di genere e le pulsioni universaliste, ma ha abdicato alla difesa dei diritti sociali, riducendoli a mero slogan con il quale sciacquarsi la bocca solo occasionalmente. È l'incarnazione perfetta del sapereincoerente, di un pensiero fatuo, ma totalitario e supponente,elevato a sistema.

Il nostro “eroe”, infatti, guarda il mondo dall'alto della sua cattedra immaginaria con quell'ariaispirata e saccente di chi ha scoperto l'acqua calda, ma pretende il Nobel per la fisica. Chi non la pensa come lui è per definizione vittima o maleficoartefice di manipolazionimediatiche, di false credenze, di trame immonde, di bieca fascisteria o, nel migliore dei casi, di invincibile ignoranza. Non contempla mai l'ipotesi che possa essere lui a sbagliare: dopotutto, si è nutrito di pane, progressismo arcobaleno e umanitarismo da “gauche caviar” sin dai banchi del liceo e forse anche prima. La sua antropologia è semplice, direi elementare: da una parte ci sono i giusti (lui e i suoi sodali), dall'altra i reprobi (tutti gli altri). Non esiste una terza via, non esistono sfumature. Il mondo è diviso tra chi ha capito tutto e chi non ha capito niente e il nostroovviamente si colloca tra i primi, anzi nel novero dei primi tra i primi.

Lo snobismo culturale del personaggio in questione è poidavvero un’arte sopraffina. Non guarda mai un film che sia visto da più di trecento persone, divora preferibilmente libri e autoripubblicati da case editrici fedeli alla linea e frequenta teatri dove il pubblico applaude anche quando l'attore starnutisce, purché attore e regista siano quelli giusti, ovviamente. La sua conversazione è un collage di citazioni erudite, spesso buttate lì con “nonchalance” per rimarcare la differenza tra lui che appartiene alla cerchia di quelli buoni e gli altri che la famosa frase del Marchese del Grillo colloca nell’universo di coloro che eufemisticamente contano poco. Per lui è sufficiente proclamareun diritto per renderlo immediatamente esigibile e basta condannare qualcuno o qualcosaper farli scomparire, perché la realtà è un dettaglio fastidioso che disturba la purezza della teoria. Il nostro intellettuale, poi, tutto conoscendo, sa perfettamente come dovrebbero comportarsi politici, operai, imprenditori e commercianti, non ha mai gestito nemmeno il bilancio familiare, ma ha sempre soluzioni pronte per ogni crisi economica mondiale.

È l'economista per eccellenza, ma non sa quanto costa il pane, è il sociologo per definizione che però non è mai uscito dalla zona a traffico limitato in cui ha la possibilità di vivere per evitare di immergersi in altri mondi. La sua autoreferenzialità è architettata come un sistema perfetto: legge solo giornali che la pensano come lui, frequenta solo persone che la pensano come lui, partecipa solo a dibattiti dove tutti la pensano come lui. È riuscito a crearsi un ecosistema intellettuale dove il dissenso è bandito per statuto. Quando la realtà ha l'audacia di contraddirlo, la colpa è sempre della realtà. Se la sinistra perde le elezioni è perché il popolo è ignorante.

Se le sue teorie non funzionano, è perché la società non è ancora pronta. È, insomma, l'eterno incompreso che si consola pensando di essere in anticipo sui tempi. Paradossalmente, per uno che si considera alternativo, la sua presenza negli organi di informazione è più costante di quella delle previsioni del tempo. Lo vedete ovunque: talk show, quotidiani, rotocalchi, conferenze. È il dissidente di regime, il rivoluzionario da salotto, il profeta in servizio permanente effettivo. Ha trasformato l'opposizione al sistema in una confortevole professione. Critica il potere dalle poltrone del potere, denuncia l'establishment facendone parte. È il rivoluzionario più conservatore che esista: vuole conservaregelosamente i propri privilegi mentre predica agli altri la rivoluzione Dietro tanta sicurezza si nasconde un vuoto siderale. Non ha mai creato nulla di duraturo, non ha mai risolto alcun problema concreto, non ha mai migliorato la vita di nessuno.

La sua esistenza è un esercizio di stile senza sostanza, una recita per il suo pubblico limitato di “aficionados” e sodali politici, un soliloquio davanti allo specchio. Di lui sono reali solo la posa, l'atteggiamento, la maschera. È un attore perennemente in scena che continua a recitare la sua parte anche quando tutti sono andati via. Ed è così che vagano per l'Italia questi fantasmi del pensiero, questi residui di un'epoca che non c'è più, questi custodi di verità che nessuno ha mai richiesto loro di custodire. Sono i guardiani di un museo delle cere che continuano a esporre se stessi come capolavori incompresi. Ma la loro tragedia più grande è che nemmeno se ne accorgono: continuano a parlare al vuoto, convinti di essere ancora ascoltati, mentre il mondo è andato avanti e loro sono rimasti fermi, eternamente fedeli alla propria sublime inutilità. In queste sere d’agosto li trovate in onda tutte le sere: camicia di lino bianca, mocassini e barba volutamente trascurata. Svolazzanti edificatori di artifici dialettici e distributori di anatemi, nel buco nero delle ideee del pensiero.

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