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L'analisi
17 Agosto 2025 - 09:36
Anche quest’anno lungo i percorsi di vecchie e nuove strade, che portano ai nostri antichi borghi, le “estati” sono state annunciate con una parata di manifesti, locandine e scritte giganti ovunque.
Una proliferazione di sigle, in cui emerge la volontà di incuriosire, stimolare remoti orgogli, stupire con l’impiego di motti dialettali, recuperare storie evocanti miti del passato. È ormai un cimento annuale collettivo a chi riesce di più ad attrarre turisti e “villeggianti”, come si chiamavano un tempo coloro che passavano le vacanze qui.
Ora agganciandoci al discorso sulla parata promozionale, occorre da subito rimuovere un logoro equivoco nel voler far credere - e a molti fa comodo farlo - che tutto il fervore estivo contribuisce a favorire uno sviluppo autopropulsivo, a risolvere problematiche annose e promuovere cultura. No, non è così.
Il “granaio - dice un proverbio cinese – produce farina se tu lo vuoi”. Fuor da ogni metafora lo sviluppo appena auspicato richiede progettualità, visioni del futuro. Di cui larga parte delle nostre “estati” sono monche, private a monte da chi ne traccia i programmi altrove e le amministrazioni locali li accettano senza fiatare come doni da dispensare.
Diverso è invece il discorso di eventi sostenuti da sponsor privati, liberi da ogni condizionamento e sul nascere già consapevoli che è la qualità a garantire il successo e a meritarsi l’apprezzamento di chi ne fruisce, siano borghi o metropoli.
In forza di quanto fin qui detto per cercare di meglio definire questo contesto, abbiamo consultato due autorevoli operatori culturali, il poeta Peppino Iuliano e il critico letterario Alessandro Di Napoli, conoscitori e studiosi di queste realtà, dove vivono e operano, che, allo stesso tempo, “viaggiano l’Italia” per confrontarsi e misurarsi con altre significative esperienze.
“Estate e borghi sono il loro calendario di desideri a confonderci e a saziarci: un insieme di iniziative e appuntamenti – dice Iuliano – per format in apparenza originali e convincenti. Ma le improvvide gemmazioni, anche le più ambite, spesso risultano estranee alla realtà dei luoghi, buone soltanto a riempire dei contenitori vuoti. Sono occasioni che graffiano ma non incidono, anzi stelle cadenti pure esse. I borghi, invece, custodi di realtà, bellezza e tradizioni, dovrebbero esternare la loro cultura, rafforzare le relazioni e il senso di appartenenza. Insomma è tempo di allargare le braccia e aprirsi al mondo. Sappiamo bene che finita l’estate, ritorna il silenzio. Servirà un altro anno per reinventare atmosfere, location ed eventi. Paesi dell’anima e poveri di se stessi, e dire che nessun social cinguettio/ novellan Bibbia e storie/ in tutto questo resta /il bel sogno delle nostri notti di mezza estate”.
Per Alessandro Di Napoli il discorso, invece, riguarda a una più vasta problematica sociale: “Il moltiplicarsi di sagre estive e il turismo occasionale non potranno mai favorire ripopolamenti dei paesi e del Mezzogiorno e neppure quelli piemontesi come dimostra una recente ricerca. C’è bisogno di una nuova industrializzazione e di una più adeguata qualità di servizi, ripartire dalle riflessioni dell’economista Pasquale Saraceno, fondatore dello Svimez, e approfondire le più recenti proposte elaborate da Vito Teti sulla ‘restanza’. I giovani – sottolinea Di Napoli – resteranno se c’è lavoro e vi è un habitat adeguato alle loro esigenze”.
In conclusione torna attuale un lontano monito di Francesco Compagna, risalente a un saggio uscito nel 1975, “Mezzogiorno nella crisi” in cui dice con la proverbiale ironia: “Al Sud troppe copertine, senza capitoli”.
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