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L'opinione
21 Agosto 2025 - 15:11
A fine giugno l’occupazione in Italia ha raggiunto quota 24 milioni 326 mila, con un incremento di 363 mila unità rispetto a dodici mesi prima. Per l’Italia è un record, anche se resta all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione. Un elemento che non cancella, ovviamente, il trend largamente positivo degli ultimi anni.
Il problema, se mai, sorge quando si verifica come e dove è cresciuta la forza lavoro. Si tratta degli over 50, aumentati di ben 603 mila unità, mentre la forza lavoro si assottiglia sia nella fascia di età tra i 35 e i 50 anni (- 180 mila) sia tra i giovani under 25 (- 43 mila) e 25-34 (- 17 mila).
A fare la differenza sono i ritardi nei pensionamen: tra i lavoratori ‘anziani’, insomma, ci sono numerose entrate e minori uscite. Un fenomeno che incide anche sull’aumento del lavoro a tempo indeterminato, mentre cala vistosamente quello a tempo. Preoccupa, naturalmente, la questione del lavoro giovanile, con un tasso di disoccupazione under 25, pari al 20,1%, che pone l’Italia in coda alle graduatorie internazionali, e Paesi come la Germania che, malgrado la lunga crisi economica, non superano il 6,4%.
Eppure, tra decremento demografico ed emigrazione, i giovani in Italia continuano a diminuire: tra il 2004 e il 2024 sono ‘scomparsi’ oltre 900 mila under 19. Altra anomalia resta il divario di genere: a un tasso di occupazione maschile del 71,5% fa riscontro uno femminile del 54,2%.
La maggiore criticità sta peraltro nella bassa produttività. L’ultimo dato disponibile, quello del 2023, segnale una ulteriore flessione del 2,5%, generata da un aumento delle ore lavorate superiore a quello del valore aggiunto. È anche, se non soprattutto, per questo motivo che i salari netti medi in Italia restano a tutt’oggi inferiori del 7,5% rispetto agli inizi del 2021. All’inflazione, infatti, non ha fatto seguito un adeguamento corrispondente delle retribuzioni.
Restano altri problemi, da un cuneo fiscale ancora nettamente più altro della media Ocse alla piaga del sommerso, correlata spesso a quella degli infortuni sul lavoro. C’è una strada maestra per puntare a ribaltare scenari che, alla lunga, diventerebbero poco sostenibili: una politica fortemente orientata alla crescita del Mezzogiorno, area dove i punti di debolezza evidenziati si concentrano in misura molto maggiore che nel resto della Penisola.
L’auspicio è che il Governo e le Istituzioni territoriali del Sud, sinergicamente, proseguano e rafforzino gli interventi posti in essere con il Pnrr, dal potenziamento infrastrutturale al decollo della Zes unica.
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