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L'opinione
22 Agosto 2025 - 15:16
Dalle elaborazioni della Fondazione Edison sull'export nazionale arrivano indicazioni molto significative sulle cause delle performance italiane. Nel 2024, con 675 miliardi di dollari di vendite oltre confine, l'Italia è risultata il quinto Paese esportatore del mondo, subito dietro il Giappone, da cui ci separano circa 33 miliardiin moneta statunitense. Se,tuttavia, si esclude la voce veicoli, a partire naturalmente dall'automotive, l'Italia sopravanza nettamente il Giappone.
Il dato non è da trascurare, perché nel totale di tutte le categorie di prodotti (veicoli esclusi) della classificazione Hs a due cifre degli scambi mondiali, appena dieci anni prima, nel 2014, l'Italia si collocava all'ottavo posto della graduatoria planetaria. In questo decennio le imprese della Penisola hanno superato o distanziato ulteriormente quelle di competitor della Corea del Sud, della Francia, della Russia e del Regno Unito.
Un altro elemento importante sta nel fatto che l'Italia non domina nelle categorie di prodotti dove si concentra l'export, come meccanica non elettronica, apparecchi elettrici ed elettrodomestici. Dove emerge e stacca tutti è nella diversificazione. Ci sono ad esempio ben 24 prodotti nazionali nella fascia di export tra i 5 e i 20 miliardi di dollari, ben 34 in quella tra uno e 5 miliardi. È insomma il successo del Made in Italy, delle piccole e medie imprese, che fa la differenza in tanti comparti.
Si tratta di settori, come alimentari, mobilia, abbigliamento, piastrelle e ceramica, dove la tradizione agricola e artigianale italiana ha da sempre espresso valori produttivi elevati, non supportati da adeguata capacità di commercializzazione. Un tessuto imprenditoriale presente anche nel Mezzogiorno, dove i ritardi, ad esempio nella cultura e nelle strategie di marketing, erano ancora più pronunciati, ma che negli ultimi anni hanno manifestato incoraggianti segnali di crescita anche sui mercati internazionali.
Questo fenomeno va sostenuto anche a livello politico e istituzionale, perché rappresenta una delle condizioni necessarie per una maggiore coesione territoriale e, conseguentemente, per la crescita della nazione. Vanno introdotte misure incentivanti, come una parziale detassazione delle quote esportate dalle imprese attive nel Sud, riducendo nel contempo anche gli oneri contributivi. Si tratterebbe di un aggravio limitato per i conti pubblici, che beneficerebbe in compenso della crescita della base imponibile prodotta dall’espansione su scala estera delle nostre imprese.
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