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OUT OF THE BOX
23 Agosto 2025 - 14:55
Lanciamo un sasso nello stagno. Il mondo anglosassone usa l’espressione thinking out of the box – o anche outside the box – per indicare un approccio non convenzionale, creativo, capace di guardare le cose da una prospettiva diversa.
In una stagione di conformismi, in cui il pensiero libero appare eccentrico, e in un tempo in cui i tradizionali luoghi fisici e ideali di discussione sono scomparsi o agonizzanti, nasce l’idea di utilizzare la disponibilità del “Roma” e del suo direttore per avviare un piccolo esperimento: un editoriale ogni due settimane, il sabato, per un anno.
L’obiettivo dichiarato, senza retropensieri, è semplice: alimentare un esercizio di discussione. Provarci in modo scevro da pregiudizi ideologici, appartenenze politiche o interessi personali. Naturalmente non mi sottraggo alla regola: anch’io ho un bagaglio culturale che orienta il mio sguardo.
Lo definirei la cultura azionista, che si richiama all’esperimento liberalsocialista del Partito d’Azione: prima con Mazzini nel Risorgimento, poi con la Repubblica fra il 1942 e il 1947 con Ferruccio Parri, Emilio Lussu, Carlo Levi, Altiero Spinelli e altri, e che infine approdò a una diaspora culturale accolta soprattutto dal Partito Repubblicano e dal Partito Socialista. Una cultura laica, liberale e progressista, sempre minoritaria in un Paese diviso fra due Chiese.
Da qui l’impegno: smontare l’assioma che alcuni temi debbano per forza appartenere alla destra o alla sinistra e che vadano affrontati in modo convenzionale, senza respiro. È davvero un tabù, soprattutto a sinistra, parlare di divisa a scuola?
Perché la tassa di successione dovrebbe essere percepita come un’imposta “di sinistra” e non come uno strumento coerente con principi liberali? L’indebolimento dello Stato centrale a favore delle Regioni è stata davvero una scelta di più efficace articolazione dei poteri pubblici?
Possiamo ancora permetterci, unico Paese occidentale, di non avere una legge sulla rappresentanza degli interessi presso i decisori pubblici? Non è tempo di rileggere il “salvataggio” del Banco di Napoli del 1996 come un’operazione ingiustificata dal punto di vista finanziario e deleteria per il tessuto economico del Mezzogiorno?
E ancora: il Ponte sullo Stretto non meriterebbe di essere discusso razionalmente, sulla base di utilità, costi e fattibilità tecnica, anziché secondo simpatie o antipatie politiche? Potrei continuare a lungo: inflazione e debito pubblico, riforme costituzionali e organi di garanzia, musica classica nelle periferie urbane, Uber e tassisti, e altri temi ancora.
In sintesi, ogni due settimane un piccolo editoriale aperto al commento dei lettori, con l’auspicio che gli argomenti possano persino far cambiare idea a chi scrive. Il tutto con pacatezza, senza furie ideologiche e senza ambizioni di palcoscenico. Solo la bellezza di riprovare a discutere, un po’ insieme.
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