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L'analisi
24 Agosto 2025 - 16:25
Giorgia Meloni ed Elly Schlein
Un anno fa, agli inizi di agosto, Goffredo Bettini, storica figura della sinistra, di cui è spesso critico pungente, in un articolo comparso sul Corriere della Sera, ammonì la leader del Pd, Schlein, a tener presente che il “campo largo” privo di un’anima liberale, difficilmente avrebbe avuto partita vinta sulla Meloni.
La ragione di tale carenza non fu però spiegata, a farlo, nei giorni successivi, per caso, senza alcun specifico riferimento all’articolo di Bettini, provvide il settimanale culturale del Corsera “La Lettura”.
“Dopo la fase del reflusso innescata dalla caduta del muro di Berlino, nell’ultimo ventennio - si legge sul supplemento culturale - si è avuta l’ascesa dell’utopia comunista, legata alle conseguenze negative del neoliberismo e della globalizzazione per le diseguaglianze economiche e per le precarietà sociale”.
Oltre all’ascesa delle “dottrine comuniste”, successivamente, giova aggiungere, anche l’avvento del populismo grillino, rivelatosi tutt’altro da quanto aveva promesso nella campagna elettorale, più ingordo di potere e di poltrone, rispetto a coloro che lo avevano preceduto e sulle cui accuse aveva raccolto il consenso per conquistare Palazzo Chigi.
In un groviglio di rivendicazioni, rivalse e conseguenti visioni errate, si è però perso il filone della cultura liberale democratica. Il cavallo di battaglia negli anni ’70 di Norberto Bobbio, oggi sempre più auspicato per rendere credibile una coalizione politica di sinistra che non riesce a esserlo, ancora priva di programmicondivisi, insomma da prova d’orchestra per l’impossibilità di raccordare spartiti più vari e contrastanti.
Disunita su tutto ciò che serve al Paese, su cui dovrebbe interrogarsi, è compatta e unita solo nel livore contro la premier. Un comportamento, che ha superato ogni decenza nella campagna di delegittimazione e di discredito, a fronte al suo crescente apprezzamento internazionale per capacità, competenza e franchezza.
Mentre dovrebbe inorgoglire chiunque, indipendentemente da ogni posizione politica, cresce, invece, l’odio arrivando ad accusarla di non essersi adoperata al meglio nella “vertenza dazi” e nel ricucire i rapporti tra Europa e America. Una posizione cinica nonostante una memorabile esaltazione che ne ha fatto il presidente degli Stati Uniti, definendola “grande leader e fonte di ispirazione”.
È stata lei a ricucire i rapporti tra Europa e America, mentre la sinistra meditava già di fare barricate strumentali e avvelenare un clima che non avrebbe portato a nulla. Ma, oggi, su ogni altro merito, è da elogiare maggiormente e da evidenziare il suo recente prezioso consiglio di ricorrere all’articolo 5 del patto di Washington, in cui è consentito alla Nato di intervenire a difesa di un Paese attaccato, anche se non appartiene all’alleanza.
Che non aggira un ostacolo, ma ne indica il percorso legittimo per superarlo, al riparo da qualsiasi rischio di rompere equilibri mondiali. Molto significativo di fronte all’attuale e spregevole ricatto del Movimento 5 Stelle al Pd toscano per dare il suo via libera alla ricandidatura di Giani alla presidenza dell’ente regionale, a condizione del no alla base Nato di Firenze.
Una scelta di enorme gravità nella prospettiva strategica, in questo momento molto delicato, che conferma l’ennesima inquietante e ambigua condotta del Movimento 5 Stelle e di chi lo ha snaturato, privo di una cultura liberale, che servirebbe tanto all’opposizione.
Ma ad arrossire su tutti, in questa circostanza, dovrebbe essere Matteo Renzi, il quale due anni fa scrisse un saggio velenoso sul Pd della Schlein, accusata di aver “grillizzato” il Pd, per poi ritrovarsene ora complice, addirittura arruolato e compagno di viaggio, senza dire una sola parola sul citato ricatto, da matricolato “bischero”.
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