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L'intervento
26 Agosto 2025 - 15:43
“Warfare - Tempo di guerra”, proiettato nei nostri cinema proprio in questi giorni, rappresenta uno dei più importanti e provocatori film di guerra degli ultimi anni: un'opera che sfida le convenzioni del genere cinematografico bellico per mostrarci la guerra come è davvero, da che mondo è mondo, attraverso un realismo sconvolgente e a tratti brutale e un’immediatezza dura e viscerale che lascia lo spettatore senza respiro.
Diretto a quattro mani da Alex Garland e Ray Mendoza, il film emerge, infatti, come un'operazione cinematografica di straordinaria onestà artistica e morale. Mendoza, ex militare nel corpo speciale del Navy Seal statunitense con oltre sedicianni di servizio, è un veterano della guerra in Iraq.
La sua amicizia con Garland si trasforma in un sodalizio creativo quando decide di condividere con lui i suoi ricordi di guerra, in particolare quelli legati alla terribile e sanguinosa battaglia nella città irakena di Ramadi, nel 2006. Il film si basa, infatti,esclusivamente sui ricordi e le testimonianze dirette di Mendoza e degli altri membri della sua unità del Navy Seal.
Ed è proprio questa la particolarità della pellicola: Garland e Mendoza scelgono deliberatamente di fondare la narrazione soltanto sulla memoria, piuttosto che su una ricostruzione storica tradizionale, riconoscendo cosìla natura soggettiva e traumatica del ricordo bellico e trasformando il film in una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire il cinema di guerra.
Warfare, infatti, rifiuta sistematicamente ogni elemento di teatralità tipico di quel genere di cinema: niente musica epica, niente eroi, niente spettacolarizzazione della violenza. Il film si presenta come un’esperienza sensoriale totale, dove il suono diventa protagonista assoluto, alternando momenti di silenzio irreale al caos frenetico del combattimento, alle urla agghiaccianti dei feriti, al fragore assordante delle esplosioni.
La scelta stilistica è rivoluzionaria: se il cinema tradizionale è "la vita con le parti noiose tagliate via", secondo la famosa definizione di Hitchcock, Warfare è la guerra con le parti noiose lasciate dentro. La prima mezz'ora del film mostra, infatti, i soldati nell'attesa, seduti, in piedi, sdraiati, con binocolo, radio e armi alla mano che scrutano nervosi dalle finestre di una casa senza sapere con chiarezza perché sono lì.
Questa scelta narrativa audace comunica un messaggio preciso: anche l'attesa, la noia, l'ansia sono parte integrante dell'esperienza bellica e dunque il realismo estremo del film emerge proprio da questo lavoro polisensoriale degli autori che riesce a immergere lo spettatore nel bel mezzo della scena.
Ed è proprio per questo che Warfare è tanto difficile da guardare quanto da dimenticare. Perchè Il film mostra la guerra come realmente è e non come la immaginiamo standocomodamente seduti nelle poltrone del cinema. E quando l'azione esplode, il film si trasforma in una tela vivente di Goya: i sensi nuotano, l'aria si addensa di panico, i corpi vengono improvvisamente perforati, lacerati e ridotti a carne.
L’attualità del messaggio del film diventa allora sconvolgente per lo spettatore perché in un'epoca come la nostra, segnata da nuovi conflitti e da tensioni geopolitiche globali, questa storia raccontata sul filo della memoria assume un peso morale e politico inevitabile e il film ci trasporta, volenti o nolenti, all’interno dei conflitti contemporanei, quelli che in questi giorni continuano a divorare il mondo e lo fa senza mai cadere nella retorica, nel luogo comune o nella facile propaganda.
La critica internazionale ha riconosciuto in Warfare un capolavoro del cinema contemporaneo. Qualche critico cinematografico lo ha definito "la rappresentazione più straziante e onesta del combattimento moderno mai realizzata", qualcun altro lo ha descritto come uno dei film di guerra più realistici mai realizzati perché ogni dettaglio è verificato, ogni emozione è autentica, ogni momento di terrore è documentato attraverso la memoria di chi l'ha vissuto e il risultato finale è un'opera che trascende il genere cinematografico per diventare testimonianza pura e monito morale.
Ma aggiungerei anche che nel panorama cinematografico attuale, dominato da effetti digitali spettacolari e narrazioni stereotipate, questo film emerge come un atto di coraggio artistico perché rifiuta di essere semplice intrattenimento e si configura come una sorta di necessità: la necessità di dire la verità sulla guerra, sui suoi costi umani, sulla sua fondamentale tragicità. È come un proiettile che attraversa lo schermo per colpire direttamente la coscienza dello spettatore.
Non è un film che si dimentica facilmente perché è un grido di dolore che risuona ben oltre i suoi apparenti confini di celluloide e ci costringe a guardare negli occhi l'orrore senza consentirci di distogliere lo sguardo dal campo di battaglia e ricordando alle anime belle che ne parlano senza cognizione di causa, quello che solo i soldati sanno: quanto questo luogo sia infetto, inospitale, tossico, corrosivo, distruttivo, intriso da sempre solo di urina, di escrementi, di paura, di lacrime e di sangue.
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