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CARTE DA VIAGGIO

Il revisionismo storico di un’idea chiamata Euro

Dentro labirinti di guerra che appaiono senza vie di fuga, l’Unione Europea celebra la sua marginalità, ghettizzata tra le fantasie economiche di Trump e lo spietato incedere di Putin

Il revisionismo storico di un’idea chiamata Euro

Il revisionismo storico legato all’euro e ai suoi inevitabili riflessi si sviluppa, ormai, con cadenza ciclica, da molti anni. Ma la curva del disagio, in questi mesi, è cresciuta prepotentemente, alimentando nell’opinione pubblica un disagio crescente. A distanza di 25 anni, dentro labirinti di guerra che appaiono senza vie di fuga, l’Unione Europea celebra, ormai, la sua marginalità, ghettizzata tra le fantasie economiche di Trump e lo spietato incedere di Putin.

In uno scenario in cui anche la Cina non vuole abdicare al suo ruolo di leader tecnologico e commerciale del pianeta. In questo contesto, suonano decisamente sorprendenti le parole di Mario Draghi al Festival di Rimini. Dopo essere stato per anni in prima fila, dopo aver rivestito in questi anni ruoli strategici tanto a Roma quanto a Bruxelles, l’economista scopre che “ l’illusione dell’ Unione Europea di poter contare nello scacchiere commerciale internazionale è, ormai, naufragata.”

Nonostante 450 milioni di consumatori, nonostante il ruolo di protagonista lungamente accarezzato, nonostante un europeismo sventolato come un labaro. Mario Draghi, per la verità, dopo un’iniziale dissenso giovanile, è stato, negli anni ’90, tra i grandi protagonisti della costruzione dell’Unione Europea. Erano gli anni in cui Romano Prodi, da presidente dell’ IRI, vendeva colpevolmente i patrimoni del Paese : Telecom, Autostrade, Finsider, Italsider, Italstat, Alfa Romeo, Banche, Industrie alimentari in un crescendo quasi rossiniano.

Il periodo che portò l’ Italia a giocarsi la grande, pericolosa scommessa. Se chi si è reso protagonista di quella illusione, sostenendola per lunghi anni, ritiene oggi che l’operazione commerciale sia sostanzialmente evaporata per mancanza di autorevolezza, sviluppa paradossalmente anche un giudizio storico sul suo operato. E poco conta se oggi, in Europa, per carenza di leadership autentiche, ci si divida tra volenterosi e pacifisti, tra amici di Trump e di Zelensky.

Senza la crescita di una coscienza collettiva, senza un’ economia che sappia guardare a regole uniformi, senza l’ eterno ricorso all’ economia come unica icona da adorare, appare scontato che il Vecchio Continente si debba dare, oggi, la forza di nuove regole. 

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