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LETTERA AL DIRETTORE
28 Agosto 2025 - 08:59
Gentile Direttore, spero mi perdoneranno i lettori per l’insistenza del mio scrivere su un argomento da più parti discusso: la nomina del Soprintendente del Teatro San Carlo. Sono un appassionato melomane da quando avevo meno di sette anni, quando mio nonno materno, Saverio Piantedosi, grande intenditore di musica classica, organizzava a sue spese un viaggio da Roccabascerana, ridente paese della vicina Valle Caudina, con i concittadini di cui era sindaco — e lo fu per vent’anni — a Napoli, per assistere alle “prime” delle opere che venivano rappresentate nel nostro “Massimo”.
Ho trascorso così, e continuo ancora oggi, a frequentare il “nostro” Teatro, immergendomi nelle letture di testi classici e di storia della musica, ricordando il tempo dei Di Stefano, Corelli, Del Monaco, Callas, Tebaldi, Caniglia, Toti Dal Monte, Gigli, Tagliavini, o come Kabaivanska, Caballé, Pavarotti, Domingo, Carreras. Per non parlare, poi, dei grandi direttori d’orchestra, a cominciare da Toscanini per finire con Zubin Mehta, Muti, Abbado, Oren e tanti altri tra i più illustri al mondo.
Mio padre, avvocato ma soprattutto letterato, insignito di quattro medaglie alla Cultura dalla Presidenza del Consiglio e due volte candidato al Nobel dalle Accademie, mi ha indirizzato a studi classici. Pur svolgendo una brillante carriera militare e politica, non mi sono mai distolto dal curare tali interessi, leggendo e producendo libri che hanno interessato anche il mondo accademico, dove ho insegnato per più di un ventennio.
Ho fatto questo lungo e forse “antipatico” excursus, Direttore, perché vorrei dare al mio giudizio sulla triste vicenda del San Carlo un’impronta culturale, seppur personale, piuttosto che politica, anche se mi tengo lontano dai “salotti culturali” che vorrebbero somigliare a quelli delle Pimentel-Fonseca e di Luisa Sanfelice, vere fucine di idee che anticipavano i tempi, oggi ridotti per la maggior parte al dibattito sul pettegolezzo di turno.
Da quel che sta accadendo, infatti, non mi sembra che i vari “sponsor” della vicenda della presunta nomina del Soprintendente siano animati da mero spirito “culturale” per il bene del nostro “Massimo”. Ha mille volte ragione il direttore del Corriere del Mezzogiorno, Enzo D’Errico, quando nel suo editoriale di ieri ha messo in risalto tutte le contraddizioni della politica partenopea, a cominciare dall’accordo Schlein–De Luca, fino a ieri feroci avversari.
Ha portato ad esempio la vicenda del San Carlo, parlando di “combutta” tra la segretaria del Pd e il governatore campano, uniti solo per dare scacco al sindaco Manfredi, mettendolo in minoranza nel Consiglio di Indirizzo del Teatro al momento della nomina del Sovrintendente.
“Un tempio della cultura italiana profanato da meschine convenienze di parte” — sono testuali parole del direttore. E come non dare ragione al Suo giornale, Direttore, che già da tempo aveva lanciato l’“allarme” sulle divisioni interne al CdI, che avrebbero portato la vicenda davanti ai tribunali civile e amministrativo? Siamo di fronte al solito paradosso italiano in genere, napoletano in particolare.
Il Consiglio di Indirizzo della Fondazione San Carlo, cui non è richiesta particolare conoscenza della musica classica e dei meccanismi delicati che regolano una formazione orchestrale, è composto da cinque membri: due di estrazione comunale e provinciale (Manfredi e la brava capo gabinetto del Comune Maria Grazia Falciatore); uno di nomina regionale; gli altri due di nomina ministeriale.
A questo punto, volendo anche fare di una nomina culturale una questione politica, ci si sarebbe aspettato che i due componenti nominati dal ministro della Cultura del Governo di centrodestra fossero in minoranza, perché gli altri tre sono: il sindaco Pd di Napoli, Manfredi; la nominata da lui in rappresentanza dell’Area Metropolitana; e il terzo, sempre Pd, perché nominato da De Luca, il quale, tra l’altro, proprio ieri ha raggiunto l’accordo politico con la segretaria del suo partito, Schlein.
Sarebbe stata la soluzione naturale, anche se per questi tipi di nomine, che vengono “contrabbandate” come “culturali”, l’unità si dovrebbe mostrare con l’unanimità. La cultura non dovrebbe avere colore politico! L’osservazione più triste, di cui i mass-media sembrano poco occuparsi, riguarda però la struttura organizzativa interna del Teatro.
Si parla disinvoltamente di cambiamento radicale della governance con il nuovo Sovrintendente, dimenticando che egli fa parte da anni dei precedenti comitati. Si parla di danno alla programmazione, dimenticando o ignorando che quella del prossimo anno è stata già approvata da tempo, e che molti contratti con artisti di fama sono stati conclusi da anni, per la richiesta internazionale di nomi prestigiosi.
Quel che più è indigeribile, infine, è il tentativo del “crucifige” contro l’amministrazione attuale, a cominciare dalla Direzione Generale, fino a poco tempo fa ritenuta un modello, perché accanto a un cartellone musicale di tutto rispetto ha saputo tenere i conti in ordine, per la vera e profonda conoscenza dell’andamento non solo artistico del “Massimo”, ma anche amministrativo.
Ma si sa: oggi in Italia la competenza è più un impedimento che un merito. Basta consultare l’elenco dei candidati alla presidenza delle Regioni e, soprattutto, tra poco tempo le centinaia di liste del “fai da te”: troverete ampia conferma del mio assunto.
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