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L'analisi

Il sovranismo regionale stroncato da Bruxelles

L’Unione europea è stata protagonista di questa estate. I temi più dibattuti hanno riguardato naturalmente la difesa e la politica commerciale

Il sovranismo regionale stroncato da Bruxelles

L’Unione europea è stata protagonista di questa estate. I temi più dibattuti hanno riguardato naturalmente la difesa e la politica commerciale.

In campo sono scese le pattuglie di anti europeisti, che alle soluzioni preferiscono le polemiche, e, dall’altro lato, i costruttori, che tra alti e bassi, hanno fronteggiato le alterne dinamiche delle relazioni internazionali, soggette agli umori di Donald Trump, mantenendo sul piano della concretezza e del realismo sia i teatri di guerra che i mercati. Il conto finale porta pochi risultati e molta incertezza, sulla quale il livello di attenzione rimane alto.

Ma l’Ue è anche altro. In questo clima poco si è parlato delle importanti sfide che Bruxelles ha in calendario nei prossimi mesi per l’approvazione dei documenti di finanza e degli strumenti di investimento, che chiamano in causa in particolare le regioni.

Il voto d’autunno ha impegnato segreterie politiche e politologi e continua a tenere banco: le prime in affanno unicamente sulla costruzione delle alleanze e sulla scelta dei candidati; i secondi presi a commentare per lo più la piaga del neo sovranismo regionale, frutto di un sistema elettorale che concentra un gran potere nelle mani del vertice e della debolezza della politica, che non ha più peso sui territori.

Né gli uni negli altri si sono occupati del fatto che le Regioni sono, in conseguenza, sempre più centro di spesa e, dunque, di potere e sempre meno enti di programmazione e di decentramento amministrativo. Sarebbe necessario valutare quanto questa trasformazione abbia contribuito a determinare le cattive performances nella gestione dei fondi europei.

I dati sul monitoraggio dello stato di avanzamento del Pnrr senz’altro positivi nascondono il lento incedere della spesa dei fondi 2021/27 e le problematiche di quella 2014/20. Per risalire la china sarebbe necessario pensare a una profonda riorganizzazione politico-istituzionale, capace di innestare massicce dosi di democrazia nel sistema.

Nell’attesa è necessario, comunque, occuparsi delle questioni sul tavolo. La prima è dentro la proposta di Quadro Finanziario Pluriennale 2028/34 presentata dalla Commissione Europea a Giugno. Con il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale, la Commissione potenzia il budget totale e introduce significativi cambiamenti volti a promuovere semplificazione ed efficienza.

Ma la indubbia condivisione degli obiettivi finali non deve far perdere di vista la valutazione degli strumenti specifici pensati per raggiungerli. In sintesi, nel periodo 2028/34, le risorse totali a disposizione ammonteranno a 1.984 miliardi di Euro, rispetto ai 1.200 miliardi del settennato 2021-2027, più uno “strumento di flessibilità” e una “riserva per l’Ucraina”, che consentono di erogare fondi aggiuntivi e andare oltre i massimali stabiliti. Con tali risorse verranno ripagati anche i circa 168 miliardi investiti nel Pnrr.

La semplificazione riguarderà fondi e programmi. Le rubriche passano da 7 a 4, i programmi si riducono a 16 dai precedenti 52 e la gestione della programmazione dei Fondi Strutturali viene affidata a 27 piani nazionali contro gli oltre 50 del 21/27. È sfuggito ai più che l’architettura programmatoria proposta non pone solo la preoccupazione che la politica agricola, accorpata a quella di coesione, possa uscirne ridimensionata, ma che proprio la politica di coesione, con la unificazione dei piani regionali dentro gli accordi di Partenariato nazionali, possa vedere indebolita la dimensione “territoriale”.

Aggiungere tale dimensione a quelle tradizionali, economica e sociale, richiese un grande sforzo politico durante il negoziato politico che portò alla firma del Trattato di Lisbona. Un traguardo che ha consacrato la esplicita definizione della politica di coesione come strumento prioritariamente regionale e la sua finalizzazione mirata ai bisogni locali.

La programmazione veniva affidata ad accordi di partenariato negoziati tra regioni e commissione, nei limiti e con i termini generali fissati nell’accordo nazionale. In futuro si prevede, in nome della semplificazione, di affidare l’intera programmazione ai 27 accordi nazionali, alla cui stesura le regioni parteciperanno con funzione “consultiva”.

Peraltro, il metodo è stato utilizzato per il Pnrr e ha, già, mostrato la sua debolezza, comportando la necessità di ripetuti aggiustamenti per tarare gli interventi alla domanda e alle capacità dei territori. La centralizzazione delle decisioni in quella occasione è stata giustificata da due fattori decisivi: l’urgenza e l’indebitamento. A regime lo svuotamento della funzione regionale ridotta al solo compito di attuazione di scelte prese altrove, dalle nostre parti accelererà il declino degli enti territoriali giustificando la prassi della “spesa senza pensieri”.

Il punto è molto delicato e apre una fase politica decisiva per le nostre regioni e per il paese. La ulteriore de- responsabilizzazione dei governi regionali che conseguirebbe da tale riforma sarebbe estremamente dannosa. Non si semplifica con il dirigismo, ma con il rafforzamento delle condizioni abilitanti e di risultato.

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