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La riflessione

Dal “valore del fallimento” alla sua irrevocabile resa

I genitori di un 16enne californiano che si è suicidato dopo aver discusso i suoi piani con il chatbot ChatGPT hanno fatto causa a OpenAI, accusandola di essere responsabile della morte del figlio

Dal “valore del fallimento” alla sua irrevocabile resa

Sulla narrazione del "valore del fallimento", buono per grandi e (soprattutto) piccini, ne è pieno il nostro misero e usurpato web. Spettacoli con platee stracolme di nuovi discepoli, come (soprattutto) centinaia di migliaia di followers ansanti, lo testimoniano senza soluzione di continuità. Psicologi, psicopedagogisti, filosofi, medici, analisti, giornalisti e letterati di ogni ordine e grado non c'è giorno che non ce lo ripetano.

Peccato che a leggerlo (o ad ascoltarlo) siano solo i genitori - piuttosto che i più interessati, i figli - i quali (i primi), una volta concluso il fragoroso applauso, continuano a fare quel nulla che facevano già prima. In coda alla pletora di rampognatori e moralisti c'è ora anche Peppe Severgnini, versatile giornalista, scrittore e (di recente) censore, il quale ha visto pubblicare, quale titolo di alcune delle sue migliori esternazioni, quello che più di tutti condensa il pensiero similliberista, ma in effetti reazionario, su questi oscuri e delicati argomenti: "I tuoi figli impareranno dai loro fallimenti e diventeranno più forti".

Ecco diagnosi e prognosi sono finalmente compiute, come il congiungimento tra vecchio e nuovo, giusto e sbagliato. Non c'è ormai padre o madre che non corra dal proprio figlio e non provi a somministrargli la sua dose di benefico "fallimento". Ma cos'è in realtà questa orribile forma di sversamento emotivo, questa arrendevole caduta verticale della nostra intimità, questa resa dell'anima tanto incondizionata quanto (talvolta) irrreversibile?

Per l'IA - la nuova Sibilla Cumana - il fallimento è "l'incapacità di raggiungere un obiettivo, percepita soggettivamente come una sconfitta che può minare l'autostima, generare ansia e vergogna, e spingere all'evitamento delle sfide". Anche così, senza interpellare "dotti medici e sapienti", non è un gran bel vedere! Pensate se a subirlo poi è un ragazzino di 16 anni, casomai statunitense (non che sia una colpa, però aiuta), che cerca un metodo sicuro e infallibile per non sentire più il peso di quel "dolore" di cui alcuni parlano con tanto supponente favore.

La notizia, pubblicata da "Il Post" qualche giorno fa è la seguente: "Martedì negli Stati Uniti i genitori di Adam Raine, un 16enne californiano che si è suicidato ad aprile dopo aver confidato e discusso i suoi piani con il chatbot ChatGPT, hanno fatto causa a OpenAI, l’azienda che possiede il software, accusandola di essere responsabile della morte del figlio. È la prima causa di questo tipo intentata contro OpenAI, anche se nell’ultimo anno c’erano stati diversi casi simili e sono milioni le persone che ogni giorno usano il chatbot come psicologo".

Non entro nel merito dello scambio di opinioni intercorse tra l'adolescente e l'IA, affinché il metodo usato per suicidarsi - dopo due tentativi falliti - fosse finalmente irrevocabile. Resta l'amaro in bocca di una sperimentazione - non può essere definito in altro modo qualunque tentativo che miri col bicchiere di un artificioso supporto psicologico a svuotare l'oceano dell'emarginazione e dell'angoscia adolescenziali - incapace di dare un benché minimo frutto. Né c'è nulla che possa fermare quanto già compiuto.

Resta così un senso di attonita stasi e muta impotenza di fronte a questa nuova religione - dall'incantatore (genitoriale) di turno alla via di fuga nel non-pensiero artificiale - che trascinerà sempre più, se non sopravvengono correzioni sostanziali, giovani e vecchi dentro la fossa comune del manierismo e della superficialità, peraltro già dominanti. Non rimane che iscriversi al più vicino canale di tendenze e di moda, magari seguendo una delle tante influencer di Tick Tock, per farci spiegare chi siamo e chiedere poi conferma a una IA a caso. 

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