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L'analisi
08 Settembre 2025 - 09:00
Gaza
Il ministro degli esteri egiziano Badr Abdelatty ha dichiarato che «lo sfollamento dei palestinesi non è un opzione», esso, piuttosto «significa la liquidazione e la fine della causa palestinese e non esiste alcuna base legale, morale o etica per deportare le persone dalla loro patria».
Le sue parole sembrerebbero davvero difficilmente obiettabili, dopo quanto sta accadendo nella Striscia. Colà l’Idf, eseguendo, sembrerebbe anche di malavoglia, gli ordini impartiti dall’Esecutivo israeliano, sta letteralmente radendo al suolo quel che rimane di Gaza City: venerdì è toccato tra gli altri ad un ulteriore simbolo di ciò che rimane dell’insediamento urbano d’un tempo: la Mushtaha Tower è stata fatta saltare, cancellando le ultime tracce del quartiere esclusivo della città.
Israele ha ovviamente affermato che quell’edificio s’era trasformato in una postazione strategica dei terroristi di Hamas e dunque v’è piena legittimità per cancellarlo. Ma non è tutto. Perché, alle parole sopra ricordate del ministro degli esteri cairota – che ha anche parlato di «genocidio, uccisioni di massa e fame artificiale creata dagli israeliani» – il primo ministro di Tel Aviv Netaniyahu ha incredibilmente affermato che «è l’Egitto a voler imprigionare contro la loro volontà i residenti di Gaza che vogliono lasciare una zona di guerra».
Più apprezzabile nella scarna franchezza, il suo ministro della difesa, Israel Katz, che ha annunciato, non nascondendo saldo compiacimento, non l’avvento del Signore, bensì che «le porte dell’inferno si sono aperte a Gaza».
Ora, da tempo vado pensando che la settantennale tensione ed esposizione a gravi rischi d’incolumità individuale e collettiva abbia determinato nella nazione d’Israele delle distorsioni di giudizio e di senso di realtà, purtroppo rinforzate da esperienze effettive da non augurarsi a nessuno.
Però, le affermazioni ultime del primo ministro di quel Paese lasciano davvero interdetti: lasciano solo un’alternativa: o l’instaurazione d’una grave forma di patologia schizofrenica, o di un tal radicale, consolidato cinismo, da consentire la più spudorata tra le negazioni della realtà: la deformazione di quel che accade al punto da non lasciare alcun margine al dovere di riconoscimento del vero.
Lasciando in disparte le dichiarazioni del ministro della difesa – che nelle loro bibliche evocazioni mostrano la perdita d’ogni senso della misura, assai grave per chi ha compiti di responsabilità politica – non meno inebetenti sono le dichiarazioni di Netaniyahu.
Costui parla di responsabilità egiziane, e sin qui passi pure, ma per il fatto d’impedire l’esodo volontario dei gazawi che vorrebbero lasciare la propria terra, proposito che verrebbe loro interdetto dal Cairo che tiene ben serrato il valico a sud di Rafah, impedendo l’agognato esodo.
Le ragioni per le quali l’Egitto abbia deciso quel che ha deciso, saranno pur molte e molto probabilmente non soltanto legate alla volontà d’impedire la cancellazione del popolo palestinese. Ma quel certo è che parlare di ‘esodo volontario’, di ‘volontà’ dei gazawi di lasciare il loro territorio raggiunge un tal livello di deformazione della realtà, da superare ogni margine di tollerabilità, anche politica.
Si sa da sempre che la verità in politica non è un requisito richiesto e che anzi buona parte dei suoi risultati si raggiungono grazie alla menzogna, agli infingimenti, alla capacità di mascherare i propri disegni e come le cose stiano. Epperò, c’è pure un limite all’impudenza: quel popolo palestinese avrà o non avrà le sue integrali colpe, io credo non le abbia, ma certamente è stato martoriato da una violenza bellica fuori d’ogni limite con decine di migliaia di morti: è evidentissima la determinazione con la quale Israele ha deciso di allontanarlo dalla terra in cui vive, e lo sta facendo rendendo la sua esistenza impossibile, sfollandolo a ripetizione, sottoponendolo a continui ed bombardamenti, creando condizioni esistenziali oggettivamente intollerabili.
Si sa: la guerra conosce una sola legge, la forza, ed il diritto internazionale – meglio, il diritto di guerra – è una contradictio in terminis. Semplicemente non esiste, dato che ogni paese, quando combatte, ne fa quel che vuole, dunque è privo di obbligatorietà. Però, però c’è un limite, almeno dovrebbe esserci, dato che non c’è.
Travisare a tal punto la realtà delle cose da attribuire al popolo palestinese la ‘volontà’ di lasciare quel che rimane della sua terra dopo che è stata resa inabitabile, è troppo, è un’impudenza intollerabile, che dovrebbe trovare una riprovazione universale. Ed invece non accade.
Ci si balocca a stabilire se Israele stia o meno compiendo un genocidio, e fini discettatori, maestri della distinzione son lì a spiegarci che no, di genocidio non possa parlarsi, dato che non ci sono i forni crematori all’opera e che Israele usa il riguardo d’avvertire la popolazione della necessità d’allontanarsi di gran carriera dagli accampamenti inumani dove vive della misericordia internazionale opportunamente gestita dall’Idf, prima di ricoprire di bombe quei luoghi.
Io non so se di genocidio si tratti, probabilmente fisico no, politico certamente, dato che il risultato di questa strategia è dissolvere l’identità di quel popolo, privandolo del territorio su cui ed attraverso cui è andata riformandosi e consolidandosi.
Ma quel che so di certo è che quando si giunge a negare la realtà fino a questo inaudito punto, quando si giunge ad assegnare alla libera determinazione di quel popolo assediato, la volontà di lasciare la propria terra ridotta in macerie da quotidiani bombardamenti e sfollamenti, beh credo si sia superato il segno della ragione, credo non sia possibile più alcuna forma di relazione civile con quegli uomini di governo.
Il tessuto della ragione non accomunerebbe più qualsivoglia forma di dialogo, perché siamo nel territorio della sragione, della deformazione della realtà, nel territorio della schizofrenia o in quello dell’amoralità radicale. Ed il pensiero, in queste condizioni, non può nemmeno sperare d’essere scambiato, ma direi nemmeno sperare di formarsi.
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