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L'opinione
15 Settembre 2025 - 09:21
La Festa di Piedigrotta non è stata mai soltanto una festa, ma un rito collettivo capace di intrecciare devozione e popolo, religione e folklore, arte e identità. Nata come celebrazione mariana legata all’8 settembre, giorno della Natività della Vergine, la ricorrenza affonda le sue radici nella Napoli borbonica e nel santuario che si erge ai piedi della Crypta Neapolitana.
Eppure, ancora prima, già portava con sé un retaggio di baccanali e ritualità pagane che il popolo seppe trasformare in energia vitale. Nel Settecento Carlo III di Borbone la consacrò come festa ufficiale: addobbi, luminarie, cortei e la partecipazione della corte reale la resero un appuntamento in cui potere e comunità si incontravano.
Nell’Ottocento, con la nascita del concorso di canzoni, divenne culla della musica napoletana moderna: versi in dialetto che raccontavano desideri, amori e miserie di un popolo, fogli volanti diffusi dall’editoria popolare, melodie che avrebbero conquistato il mondo. Era un laboratorio di creatività che sancì il secolo d’oro della canzone partenopea.
Ma come spesso accade, la luce si affievolì. Dopo l’Unità d’Italia, cambiato l’assetto politico e sociale, la festa iniziò a perdere quel patto implicito tra istituzioni e popolo che l’aveva alimentata. Le parate militari si spensero, la partecipazione autentica si ridusse e la dimensione sacra si ritirò a margine.
Nel Novecento si trasformò sempre più in spettacolo, con palchi, fuochi e concerti organizzati, mentre il cuore popolare, il cuppulone calato dai balconi, i bambini con le trombette, le orchestrine improvvisate per strada, diveniva ricordo nostalgico. Negli anni Settanta arrivò il declino, con il rischio di sparizione totale, e i tentativi di ripresa successivi hanno spesso mostrato più l’intenzione di sfruttare un nome storico che quella di restituirne lo spirito autentico.
Ed è questo il nodo: ciò che era un evento identitario, religioso e popolare, oggi rischia di ridursi a marchio turistico, a cartellone estivo da riempire di spettacolarità effimera. Nulla di male nel promuovere cultura e intrattenimento, ma senza la dimensione religiosa e partecipativa la Festa di Piedigrotta perde il suo senso profondo.
Non basta un palco, non bastano gli sponsor, non basta la retorica delle rievocazioni, serve la comunità, serve la fede, serve quella voce collettiva che faceva della festa non un evento da guardare ma da vivere. Napoli ha memoria, e se c’è una città che può restituire autenticità a un rito antico è proprio questa, che dell’intreccio tra sacro e profano ha fatto la sua cifra storica.
La sfida non è dunque ricostruire una cartolina ma riaccendere un’esperienza viva che unisca devozione e identità. Piedigrotta potrà tornare a essere questo soltanto se si tornerà a sentirla e non solo a celebrarla.
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