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L'analisi

Droni russi nei cieli polacchi: un segnale da non ignorare

Dobbiamo elevare mura ideali assai solide, unico vero rimedio dall’aggressione

Droni russi nei cieli polacchi: un segnale da non ignorare

L’incursione della scorsa settimana nei cieli polacchi di circa una ventina di droni carichi di tristi presagi, mi pare costituisca un fatto dal significato sinistro, del quale sarebbe irresponsabile ogni sottovalutazione.

Certo, ci sono stati anche osservatori ed analisti che hanno dubitato l’imputabilità al volere di Putin di questa affacciata poco amichevole negli spazi aerei di Varsavia e si sono avanzate varie ipotesi per parlar d’errori, inefficienze tecnologiche e di altri pure.

Resta però che quei droni sono parte dell’arsenale di Mosca, che questa ne fa uso in gran copia per devastare il territorio ucraino. Ed è anche molto improbabile che un tal numero di quegli infernali aggeggi possano, insieme, dirottare ed invadere alla leggera un territorio tanto sensibile agli scenari di guerra.

Non dimentichiamo che molti commentatori disseminavano di dubbi le intenzioni belliche del Putin, anche quando questi aveva ammassato ai confini ucraini centinaia di migliaia di uomini; ed ancora un mese prima dell’inizio dell’operazione militare speciale nel febbraio del 2022, il governo della Federazione russa dichiarava impunemente che non c’era alcun programma d’invasione dell’Ucraina, forse tristemente ironizzando perché la campagna ucraina sarebbe stata non una guerra, ma un’operazione militare speciale.

Ma questa è la guerra senza regole, senza dichiarazioni, senza rispetto dei limiti pretesi esistenti del diritto internazionale. Della Federazione russa non c’è da fidarsi e tutto quanto sino ad oggi accaduto, deve indurre alla massima precauzione, c’è poco da dire. L’incursione di qualche giorno fa ha tutta l’aria d’essere, una sorta di ballon d’essai: quell’inviare una specie di sonda nel campo nemico per misurarne le reazioni, la capacità di spiegare effettive ed efficienti difese, insomma per misurarne le forze.

È molto probabile che questa vicenda costituisca un atto di guerra, di quella guerra che non si fa scrupolo d’impiegare alcun mezzo pur di raggiungere i suoi risultati. Chi si arbitra di far morire ogni settimana circa cinquemila uomini, civili a parte, devastando un paese, di certo non tremerà dinanzi all’idea di provocare il potenziale, futuro nemico, con atti che non sono di semplice iattanza – non servono cioè a mostrare d’essere incurante delle conseguenze, sentendosi forte – ma servono assai di più a mettere alla prova: a vedere cosa l’altro sa fare, in modo da poter meglio organizzare i propri futuri propositi, sapendo quali resistenze si potranno incontrare.

Insomma, l’esperienza ucraina che ha impantanato il gigante russo in una guerra che da qualche settimana in cui avrebbe dovuto concludersi, si sta trascinando e logorandosi da circa tre anni e mezzo, questa esperienza potrebbe aver reso più avvertito l’ineffabile moscovita, facendolo più cauto ed inducendolo ad agire con metodo più ‘scientifico’: agire con ‘metodo sperimentale’, mettendo cioè alla prova il nemico potenziale, verificandone le reazioni, in modo da potersi attrezzare adeguatamente alla bisogna: ma anche per valutare se insistere o desistere nei propri propositi imperialisti.

Il problema di chi deve difendersi dalle mire della Grande Russia alla quale – finché sarà in vita – sembrerebbe ormai chiaramente ispirarsi il presidente di quel che oggi residua dell’ex gigante sovietico, il problema degli Stati europei, insomma, è che il Putin dispone d’una forza nucleare che ragionevolmente lo preserva da reazioni militari che possano sconfiggerlo nel suo territorio: perché, se troppo si tira la corda, c’è da esser certi che i suoi possenti arsenali non resteranno lì a guardare e succederà quel che succederà: meglio non sperimentare, in questo caso il metodo scientifico sconsiglia di esagerare nelle dosi.

Sicché, l’unica vera possibilità che si ha di fermare quelle aspirazioni all’Alessandro Magno dei nostri giorni, è di creare una forza di resistenza tale, da rendere l’invasione impossibile con i mezzi convenzionali, che sono quelli con i quali la guerra oggi può essere condotta se non si pensa d’innescare la fine del mondo (l’unica regola non ancora violata dal Putin, è proprio quella di non ricorrere alla potenza nucleare).

Bisogna evidentemente prendere atto del deprimente fatto che, rispetto al mondo ripartito all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, un evidente regresso v’è stato: allora s’era creduto di poter affidare a solide istituzioni internazionali – prima tra tutte l’Onu – il compito di arbitrare fra le immancabili tensioni politiche nel Globo.

S’era pensato cioè che forme di mediazione sovranazionali, opportunamente supportate da una quota dissuasiva di forza militare, potessero svolgere quel compito di mantenimento della pace che, grazie alla non proprio nobile costituzione antropologica, è sempre una condizione tutt’altro che scontata e necessitante di continua, attenta manutenzione. Ma abbiamo dovuto constatare che quel disegno è completamente fallito e che le istituzioni sovranazionali non servono a molto più che a mantenere se stesse in vita (finché lo potranno), con i loro elefantiaci, rituali ed inetti processi.

Basti pensare che la Federazione Russa siede nel Consiglio di sicurezza – il cuore pulsante dell’Onu – permanentemente e con il diritto di veto: dunque da arbitro primario ed è al contrario guerrafondaia primaria. Dunque, si è tornati alla concreta saggezza dell’insegnamento romano: si vis pacem para bellum, non proprio un successo per il progetto umano, bensì una visione realistica che tiene conto delle più profonde pulsioni aggressive, dell’istinto di rapina e della tendenza ad appropriarci dell’altrui, doti che costituiscono i connotati più diffusi e profondamente infissidell’animo umano.

Ed allora c’è poco da fare: dobbiamo elevare mura ideali – altro simbolo intramontabile, le mura – assai solide, unico vero rimedio dall’aggressione. È assai triste, ma si vis pacempara bellum descrive molto bene la nostra condizione ed indica il rimedio.

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