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L'analisi

Il circo della delegittimazione è complice della violenza

La democrazia muore quando smettiamo di riconoscere l'umanità di chi la pensa diversamente

Il circo della delegittimazione è complice della violenza

Il tragico assassinio di Charlie Kirk è diventato l'ennesimo palcoscenico dove le sinistre italiana ed europea mostrano il loro vero volto: quello di chi trasforma ogni violenza contro un avversario politico in una lezione di morale.

L'uccisione dell'attivista conservatore americano non ha suscitato solo cordoglio, ma ha scatenato una vergognosa serie di giustificazioni mascherate da analisi che rivelano quanto profondamente sia oggi radicata la cultura dell'intolleranza nei salotti “progressisti”.

Quando un cecchino spara da 180 metri e colpisce mortalmente un uomo che stava semplicemente esprimendo le proprie idee, la reazione sana dovrebbe essere di unanime condanna senza se e senza ma. Invece, stiamo assistendo al solito balletto mediatico fatto di distinguo, contestualizzazioni e "però" che sono vigliacche pugnalate alla schiena della verità.

La macchina del discredito si è messa in moto con precisione chirurgica. Kirk viene descritto come "propagandista MAGA", "negazionista climatico", "no-vax"e chi più ne ha più ne metta: tutteetichette appiccicate come se fossero certificati di morte meritata. È la stessa dinamica che trasforma ogni vittima di destra della violenza politica in una persona che merita un "se l'è cercata", mascherato da sofisticata analisi sociologica.

Il Parlamento europeo nega persino un minuto di silenzio per Kirk, mentre in passato lo aveva concesso seduta stante in altri casi. La doppia morale è talmente evidente da risultare grottesca, ma viene applaudita dai banchi della sinistra europea come se fosse un atto di doverosa necessità.

Quello a cui assistiamo non è più un fenomeno marginale: è la sistematizzazione dell'odio politicotravestito da superiorità intellettuale. Sui social network, nei talk show, negli editoriali, si è consolidata oramai una narrativadel politicamente corretto che deumanizza chi ha idee diverse, preparando così nei fatti il terreno alle menti bacate che eventualmente decidessero di passare dalle parole ai fatti.

Il crescente clima di guerra civile a bassa intensità che attraversa il nostro “Occidente” trova in questa continua retorica giustificazionista il suo carburante più pericoloso. Quando intellettuali e opinionisti costruiscono pubblicamente il ritratto del “nemico che se l'è meritata", stanno armando moralmente chi poi malauguratamente pensasse di passare all'azione.
Nella nostra Italia questa dinamica demonizzante ha raggiunto livelli preoccupanti.

Ogni articolo, ogni reportage, ogni intervento che non si allinea al pensiero unico della sinistra nelle sue varie declinazioni scatena immediate richieste di ostracismo politico e di pubblica gogna. Gli stessi che invocano tribunali e purghe illiberali contro chi non la pensa come loro sono sistematicamente pronti a minimizzare o addirittura giustificare ogni forma di violenza verbale e di sopruso lesivo della libertà di pensiero di chi ha una diversa visone del mondo.

E la forbice dell'odio si allarga spesso esponenzialmente, in quanto viene alimentata da una precisa strategia di delegittimazione che non si limita alle idee ma colpisce le persone in quanto tali, trasformandole implicitamente in bersagli legittimi. È un meccanismo che, una volta innescato, diventa poi difficile controllare.

Diciamoci con chiarezza come stanno le cose: la democrazia muore quando smettiamo di riconoscere l'umanità di chi la pensa diversamente. Ogni "però" davanti a un omicidio politico o a una forma di intolleranza verbale o di violenza fisica è un colpo di piccone alle fondamenta della nostra convivenza civile e della nostra libertà.

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