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L’OPINIONE
20 Settembre 2025 - 10:05
L’Italia è il secondo Paese dell’Unione Europea per incidenza di Neet (Not in Education, Employment or Training), vale a dire di giovani che non studiano, non lavorano e neppure cercano un’occupazione. Sono circa un milione e quattrocentomila.
Aiutare queste ragazze e questi ragazzi non è solo un dovere etico, ma una necessità economica, perché significa ridurre i danni che la collettività subisce a causa della loro condizione. Lo ha ribadito il recente Forum di Cernobbio, dove sono stati riportati i riscontri di una istituzione di riferimento per Bruxelles, come l’Eurofound.
Il costo annuo dei Neet per l’Ue è di 114,7 miliardi, di cui ben 24,5 imputabili all’Italia, l’1,23% del Pil nazionale. Il calcolo deriva dalla somma delle perdite di entrate (tasse e contributi) dovute alla mancanza di lavoro più quella dei costi per la finanza pubblica generati dai trasferimenti che ricevono questi giovani.
E la stima è ancora per difetto. Vi è, infatti, da tenere in considerazione il problema demografico, destinato a inasprirsi ulteriormente nel prossimo futuro. Tanti giovani che non lavorano significano anche maggiori difficoltà di tenuta per un bilancio pubblico in cui, sempre di più negli anni a venire, il numero degli anziani e quindi dei pensionati sarà proporzionalmente in crescita rispetto alla popolazione complessiva, al contrario di quanto accadrà per il complesso della forza lavoro.
Molti Neet, insomma, renderanno ancora più difficile risolvere il problema di come pagare le pensioni del futuro. Occorre dunque cercare di fronteggiare energicamente la questione, con misure appropriate. A cominciare da una riforma del sistema formativo, con la previsione di percorsi di orientamento fin dalle scuole secondarie di primo grado.
Bisogna poi promuovere opportunità maggiori di lavoro per le donne, che attualmente rappresentano il 69% dei Neet, e per il Mezzogiorno, che, come area,incide per il 46%. Interventi che potranno incentivare i giovani a cercare lavoro andranno poi previsti anche sul fronte retributivo. L’Italia è l’unico Paese dell’Ocse in cui, tra il 2000 e il 2023, i salari reali sono diminuiti (-3,3%) invece di aumentare.
La lentezza con cui si affrontano problematiche di questo genere, malgrado i progressi indubbi fatti registrare dal Governo in termini di incremento dei posti di lavoro, chiarisce anche perché (altro dato ricordato a Cernobbio) uno Stato come la Spagna tra il 2015 e il 2024 abbia attratto investimenti diretti esteri per 304 miliardi, contro gli appena 191 dell’Italia.
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