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Lo straniero
20 Settembre 2025 - 10:09
Il ministro Abodi con il sindaco Manfredi al Reale Yacht Club Canottieri Savoia
I napoletani non sono italiani… o almeno non del tutto! Si può fare riferimento alla dichiarazione diretta nel 1859 di Ferdinando II, il terzo re Borbone, a suo figlio Francesco, in lingua napoletana, l’unica che tollerava nel suo governo: «Mantieni il nostro regno isolato dall’Italia attraverso gli Stati del Papa per preservarlo dalla rivoluzione».
Il che significava, in realtà, “per preservare la feudalità”, dove nobili e chiesa conservavano i privilegi che avevano recuperato al ritorno di Ferdinando IV, dopo le concessioni di Murat a favore del popolo. Con la sua politica altamente reazionaria si era tornati ai momenti più bui, e la miseria dei poveri non aveva fatto che peggiorare sotto il regno dei Borbone. Tutti i rappresentanti della classe illuminata erano stati impiccati o decapitati. Al contrario dell’Italia e del resto d’Europa, dove un nuovo regime giusto ed egualitario aveva conquistato il potere.
I cittadini di Napoli, quindi, non rientrano nei Francesi dei diritti dell’uomo post-rivoluzionari incarnati da Murat. Essi appartengono piuttosto alla Francia dell’ancien regime attraverso Carlo di Borbone, il cui padre era stato educato dal più grande re di Francia, Luigi XIV, il paradigma supremo del potere assoluto.
Carlo riprodusse a Napoli il gusto del suo avo per le grandi costruzioni al servizio della sua gloria, come la Reggia di Caserta, una Versailles in miniatura, la Reggia di Portici o quella di Capodimonte, il Teatro San Carlo. Quanto all’Albergo dei Poveri, lo fece erigere solo per nascondere i poveri e non per aiutarli.
Nel libro di storia che ho a casa, si precisa infatti che il primo re Borbone non intraprese mai alcuna politica di ristrutturazione dei quartieri popolari estremamente miseri dei “vicoli” di Napoli. Quanto al secolo dei lumi, non è mai esistito, poiché la rivoluzione del 1799, chiamata partenopea, fu repressa nel sangue, e poi furono giustiziati gli eroi giacobini, malgrado le promesse del secondo re Borbone al suo ritorno da Palermo, dove si era nascosto per la seconda volta senza combattere i francesi.
Infine, la repressione della rivoluzione del 1848, a colpi di cannone contro la folla, fu il punto di non ritorno che screditò il regno dei Borbone a favore dei Savoia come candidati per diventare i leader del Risorgimento. E dopo i Borbone, i vari tentativi di Giuseppe Garibaldi di portare più giustizia sociale – come la sua iniziativa per le case popolari e gli orfanotrofi per i bambini di strada, i famosi scugnizzi – si scontrarono molto presto con l’opposizione di Cavour, diventato primo ministro del Regno d’Italia, che disprezzava il sud e indirizzò gli sforzi del suo governo verso il nord. Molti anni dopo nel 1946, la scelta della monarchia da parte dei napoletani, invece della repubblica, conferma ancora una volta che essi non sono passati alla modernità, al contrario degli altri italiani della penisola.
Il “mondo a parte di Napoli”, come lo chiamava Malaparte, appartiene quindi, secondo me, allo spirito dell’ancien regime che sopravvive ancora oggi… leggermente modernizzato. Si caratterizza per una classe popolare molto svantaggiata, di cui i politici si disinteressano, una classe media passiva e poco imprenditoriale, e uno strato di baroni che si attribuiscono un’importanza che la nobiltà non ha più in nessun altro luogo.
Quando vedo la foto del ministro dello sport e del sindaco della città posare, pochi giorni fa, nel salone del “Royal Club Savoy”, il circolo dei baroni, faccio molta fatica a credere che la classe popolare, che abita ancora nei loro miserabili bassi, potrà beneficiare dei prestigiosi lavori che il comune sta realizzando per accogliere la Coppa, prima Louis Vuitton e poi America.
L’obiettivo non è quello. Come ha detto il nostro sindaco durante quella riunione, «l’evento permetterà a Napoli di entrare nel ‘gotha’ delle grandi città del mondo a livello turistico». L’espressione è infelice, perché è proprio l’eccesso di “gotha” che ha fatto tanto soffrire Napoli nella sua storia. Quanto a rimettere Napoli sotto i riflettori, era già così all’epoca del Grand Tour: Napoli era la più bella di tutte le città d’Europa e la più miserabile quanto alla sua plebe. E si può dire che sia ancora così anche oggi.
Penso quindi con decisione che si sarebbe potuto fare di meglio che accogliere questa regata, se si guarda al problema generale della nostra città: le condizioni di vita indegne dei più poveri e la mancanza di lavoro per la classe popolare! Come diceva il filosofo Aldo Masullo: “A Napoli, nulla cambia. Nessuna classe dirigente ha saputo affrontare le contraddizioni più eclatanti ed esplosive: quella rete di vicoli, di cortili malsani, di disoccupazione, di bassi e di periferie dove da secoli si annida il cuore del problema”.
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